
Stemma della casata e foto del finanziere Giuseppe Da Zara
LA FAMIGLIA DA ZARA III parte
(*) Dott.ssa Cristina Ravara Montebelli, archeologa e amministratrice YourBoost srls.
Il finanziere Giuseppe da Zara
Dopo la morte del marito Moisè Da Zara, il 23 settembre 1879, Carolina Trieste era rimasta sola a gestire la famiglia, insieme ai figli Giuseppe, il maggiore; Nina, già sposata dal 1877 con il dott. Giorgio Bianchini di Rovigo, e Leone, ancora minorenne.
Nella divisione dei beni, a Giuseppe erano toccate le proprietà di Maserà e Bertipaglia con la Corte Benedettina, poi chiamata Corte Da Zara e la Villa Lion-Da Zara o Villa delle statue a Casalserugo, mentre a Leone erano spettati i terreni di Casalserugo e Bovolenta, con una parte di Pratiarcati, e i terreni a Pontelongo.
A Merlara la famiglia era già proprietaria di grandi estensioni di terreni, oltre 38 ettari, facenti parte del fondo “Castellaro”. Dopo le morte di Moisé, i suoi eredi, ovvero il fratello Marco, la vedova Carolina -quale rappresentante dei figli Leone, Giuseppe e Nina (autorizzata dal marito)- avevano richiesto ed ottenuto in concessione per 30 anni di deviare le “acque colaticcie delle risaie Serraglio e Valli Barbarigo”, per irrigare quei loro vasti terreni. Qui sorgeva anche la loro villa, detta Barbarigo-Venier, poi Da Zara, oggi ubicata in Piazza Martiri della Libertà n. 16.
All’una di notte del 17 gennaio 1885, nella casa di Via Santo Spirito n. 970 a Padova, moriva anche Carolina Trieste Da Zara, ancora debitrice di ben 470.000 lire verso i propri figli Giuseppe e Leone.
Un membro dell’alta finanza italiana
Alla morte del padre, Giuseppe aveva solo 24 anni.
Dopo il servizio militare, svolto nel distretto di Padova, nel 1880 Giuseppe inizia la sua luminosa carriera in campo assicurativo a Milano, dove conosce la ventunenne Ernesta o Ernestina Segre (o Segré), che sposa il 30 marzo 1886.
Ernesta, nata a Vercelli e residente nel capoluogo lombardo, era la figlia di Giacomo Segre, ma si vociferava fosse figlia illegittima del letterato Cesare Cantù e questa diceria non doveva essere del tutto infondata, dal momento che Cantù figura agli atti come testimone di nozze della sposa e regala alla coppia “un bellissimo cofanetto ed il proprio ritratto con affettuosa dedica alla sposa felice, in onore della quale ei volle dar pure una festa geniale, a cui intervenne l’eletta società milanese”.....