Il popolo Italiano e il suo milite

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Foto tratta da: Ossicella storia e arte di Flaviano Rossetto www.ossicella.it

IL POPOLO ITALIANO E IL SUO MILITE

di Liviana Gazzetta *

Cento anni fa il milite ignoto

Il processo che ha portato a seppellire al Vittoriano la salma di un soldato sconosciuto della Grande guerra costituisce una delle più significative, se non la più significativa forma di memorialistica collettiva che il nostro paese abbia avuto. Questa esigenza nel primo dopoguerra prese vigore anche in altri Paesi europei che avevano partecipato al conflitto, a partire dalla Francia, ma in Italia essa ebbe una partecipazione senza dubbio più corale.
L’idea fu avanzata nell’estate del 1920 su proposta del colonnello in congedo Giulio Douhet, già noto per le sue posizioni molto critiche sulla conduzione della guerra da parte dello stato maggiore italiano. L’intenzione era quella di traslare le spoglie al Pantheon, perché “la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli”.  Per il colonnello il Milite Ignoto doveva testimoniare una vittoria raggiunta non grazie alla guida dei vertici dello Stato, ma grazie al popolo italiano: “Tutto sopportò e vinse il nostro soldato. Tutto. Dall’ingiuria gratuita dei politicanti e dei giornalastri che sin dal principio cominciarono a meravigliarsi del suo valore, quasi che gli italiani fossero dei pusillanimi, alla calunnia feroce diramata per il mondo (…). Tutto sopportò e tutto vinse, da solo e nonostante. Perciò al soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare”.
La proposta approdò alla Camera dei deputati nel ‘21; fu quindi istituita una commissione, sotto la supervisione del Ministero della Guerra, che avrebbe dovuto individuare undici salme di caduti al fronte, nel corso dei diversi combattimenti. A seguito della scelta da parte della triestina Maria Bergamas, per la bara prescelta iniziò un lungo viaggio che sarebbe terminato a Roma, su un carro ferroviario che conteneva un affusto di cannone ed era accompagnato da un verso dantesco.


Una grande folla deferente (secondo tutte le cronache di allora), accomunata in un tacito raccoglimento, molto spesso inginocchiata e impegnata a lanciare fiori, accompagnò il viaggio da Aquileia a Roma. La coralità era indiscutibile, così come la partecipazione emotiva e la commozione, anche se va detto che non tutti erano favorevoli: all’opposizione erano le voci dei socialisti, dei repubblicani, degli anarchici e di quel blocco di forze che sostenevano come dietro all’omaggio ai 650.000 soldati caduti si celasse, in realtà, l’apologia delle guerre. Ma quello che era solo un soldato sconosciuto raccoglieva intorno a sé la gran parte della popolazione italiana ammutolita e riverente; quello che prima era solo un monumento a Vittorio Emanuele II diventava un altare alla Patria. E il popolo vedeva finalmente se stesso nella storia politica italiana del lungo Ottocento.
Oggi l’obiettivo non è farne uno dei tanti centenari che ciclicamente sono posti all’attenzione dell’opinione pubblica, né tanto meno dare spazio a forme più o meno evidenti di sovranismo; l’obiettivo è farne un momento di memoria condivisa, per riconoscersi tutti in quella gigantesca sofferenza e guardare alla costruzione di un futuro in cui i conflitti possano essere composti senza caricare il peso della guerra sulle spalle dei popoli.

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* Liviana Gazzetta Presidente dell’istituto per la storia del risorgimento, comitato di Padova


Nelle foto: le rare immagini del passaggio del convoglio col milite ignoto alla stazione di Monselice e la cerimonia del IV novembre. Cartoline di proprietà del sito

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