Esattamente oggi, il 25 settembre 1944 veniva ucciso a Bertipaglia il parroco, don Luigi Bovo. Partendo dalla biografia di un nostro illustre concittadino, il medico e scrittore Tarcisio Bertoli, ho avuto modo di appassionarmi alle sue vicende personali che lo hanno visto, da fervente cattolico, comandante partigiano durante la resistenza (1943-45) proprio a Maserà e dintorni. Egli ha avuto modo di descrivere, romanzandole, molte vicende accadute qui, tra le quali mi ha molto colpito la storia dell’omicidio del parroco di Bertipaglia, Don Luigi Bovo, appunto: azione però mai rivendicata da nessuna formazione partigiana.
Bertoli allora celava la sua appartenenza alla lotta armata contro il nazifascismo con il fatto di essere studente in medicina (eserciterà la professione a Bertipaglia solo qualche anno, dopo la guerra, prima di trasferirsi a Villa Del Conte) e da quella posizione lui afferma di avere veduto tra i primi il cadavere del povero prete ed anche di avere curato il ragazzo, preso qualche mese dopo e accusato dell’omicidio; si trattava del ventunenne Artemio Zamborlin di Pontelongo che sarà giustiziato in piazza Bertipaglia l’otto di aprile del 1945.
Da appassionato di vecchie vicende locali, ora che sono morti tutti i protagonisti e testimoni dell’epoca, ho ritenuto che fosse giunto il momento di parlarne dal punto di vista storico e non da quello delle tifoserie. Perciò ho pensato di fare un viaggio spulciando nelle ricerche di insigni studiosi per capire cosa successe quel giorno (anzi in quegli anni) e ho scoperto alcune cose interessanti, ad esempio che ogni esperto, storico, ricercatore o testimone (e non sono pochi) ha una propria idea di chi fu o furono gli assassini e i mandanti; poi ho verificato che prove su chi sia stato veramente non ce ne sono, che probabilmente erano (prete e partigiano fucilato) entrambi innocenti per le accuse loro rivolte.
Per chi è interessato propongo un breve estratto (di in estratto) di questa ricerca dentro le ricerche altrui, una analisi che forse un giorno vedrà la luce per intero e potrò così proporre a tutti quelli che ne saranno interessati..
--------------------------------------------------------------------------------------------
Le circostanze dell’assassinio di Don Bovo le ricordiamo con le parole, scritte a caldo, dal parroco di Conselve. In queste righe, oltre alla cronaca, ci sono già tutti i dubbi e le domande a tutt’oggi ancora senza risposta:
«Sacerdote ucciso. 25 settembre.
Don Luigi Bovo, parroco di Bertipaglia da tre anni, è stato ucciso alle 13,30. Due o tre individui sconosciuti si sono presentati a lui in canonica e gli chiesero:
• “Siete voi il parroco di Maserà?”
• “No, io sono il parroco di Bertipaglia di Maserà”
• “Allora leggete qua…”
E gli porsero un biglietto, sul quale erano scritte queste parole:
“Questa è la giustizia per coloro che maltrattano il popolo”
Mentre il povero sacerdote china gli occhi per leggere, tre colpi di rivoltella lo freddavano. Restò morto all’istante.
Vendetta privata?
Opera dei comunisti?
Dei f…(fascisti, ndr)?
Che sia l’inizio del calvario della Spagna? Povera Patria mia! Se dovremo morire, o Signore, salva le anime nostre e abbi pietà del nostro gregge»
I fatti assodati si fermano qui.
Per l’omicidio fu incolpato un giovane partigiano di 21 anni, Artemio Zambolin ferito e catturato qualche tempo dopo. Fu riconosciuto da un testimone e sembra certo che lui stesso abbia confermato la paternità del delitto, così si disse allora. Ma la cosa non è affatto chiara, come vedremo. E’ noto agli storici che per l’omicidio di questo parroco, che pur nell’abitudine alle atrocità tanto clamore aveva destato e tanto discredito aveva gettato sulle formazioni partigiane, i fascisti locali avevano bisogno assoluto di trovare un colpevole, se non proprio il colpevole reale.
Zamborlin, l’otto aprile del ’45 fu condotto in piazza a Bertipaglia e fucilato da un plotone di sette persone. Ivano Cavallaro di Maserà, così ci descrive la scena: “(…) Fu fucilato nel centro di Bertipaglia, nella domenica successiva alla Pasqua e nel momento esatto in cui il sagrato della chiesa si riempiva di bambini che venivano dal catechismo, ignari di tutto. Si era anche stabilito che il corpo del ragazzo rimanesse esposto tre giorni ma venne rimosso in serata. Dell’incertezza degli addebiti abbiamo già riferito: un’autoaccusa estorta con la tortura non può certo costituire un elemento probante (…)”.
Altra cosa molto importante che va sicuramente posta nel giusto risalto per la provenienza è la pubblicazione di un articolo/inchiesta sui fatti, addirittura a doppia pagina, sul settimanale diocesano “La Difesa del Popolo”. Nell’ampio servizio si afferma che la paternità del delitto addossata allo Zambolin non è per niente certa, fin dal titolo: “Dopo quasi cinquant’anni un delitto ancora misterioso” e, all’interno: “chi sa qualcosa adesso parli. E’ una pagina oscura di un nostro recente passato che va riscritta”.
Bisogna dire che il clima nel quale è maturato il delitto era quello delle fucilazioni, impiccagioni e deportazioni di massa dei combattenti partigiani e di chi li aiutava da una parte; con rappresaglie, rapimenti, e omicidi di fascisti, tedeschi, spie (vere o presunte) dall’altra.
Don Bovo era fascista perché leggeva i comunicati del regime dal pulpito? Lo facevano tutti i parroci.
Si è vociferato a lungo di vendetta personale di qualcuno e perciò il delitto potrebbe avere avuto un altro sfondo e non quello politico. Vittorio Marangon, storico di area cattolica, parla di “fatto mai chiarito”.
Pare certo, invece, che il prete avesse aiutato alcuni partigiani che in una occasione si rivolsero a lui. Le stesse voci di paese che da una parte volevano Don Bovo spia fascista, che denunciava disertori e renitenti alle armi, dall’altra dicono, al contrario, che durante un rastrellamento nazifascista il parroco fece scappare dal retro della canonica dei giovani partigiani che si erano rifugiati sotto la sua protezione e che questo fatto è il vero motivo per il quale egli fu condannato a morte dai fascisti (come ventilato anche dal parroco di Conselve, assieme alla pista “comunista”).
Poi c’è anche un particolare della biografia del Zambolin che fa pensare non poco: egli era cresciuto in un ambiente cattolico, inserito nella vita della parrocchia di Pontelongo, partecipando ai corsi di istruzione religiosa, dunque non un fanatico bolscevico.
Insomma manca ancora di sapere come andarono veramente le cose, dopo tanti anni. Molto probabilmente ciò è dovuto al fatto che l’indispensabile riappacificazione del dopoguerra ha richiesto il sacrificio di questa come di tantissime altre verità. Verità che probabilmente non conosceremo mai.
Nelle foto: l’articolo della difesa del popolo con l’immagine di Don Bovo (diritti riservati)
Il partigiano Zambolin Artemio detto “Silla” (dalla lapide posta a Bertipaglia).
di Chiaretto Ennio
Bibliografia
T. Bertoli, L’armata della disfatta, Lalli 1988
T. Merlin, Tarcisio Bertoli e la resistenza cattolica nel conselvano, in: Terra d’Este, rivista di storia e cultura a cura del Gabinetto di lettura di Este. Anno XV numero 29, 2005
G. Gaddi, Resistenza padovana, spionaggio e controspionaggio, Nuovi Sentieri editore, 1979
V. Marangon, Il movimento cattolico padovano, Parte I (1875-1945), Centro studi Ettore Luccini, 1997
G. E. Fantelli, La resistenza dei cattolici nel padovano, F.I.V.I., Padova, 1965
F. Sabbion, I testimoni raccontano. Fascismo e resistenza nel conselvano, 1° Quaderno comune e biblioteca di Conselve, 2005
F. Selmin, La Resistenza, in: Atlante storico della bassa padovana. Vol. II, Il primo novecento, Cierre Edizioni, 2014
F. Feltrin, La lotta partigiana a Padova e nel suo territorio, Cleup 2017
Aronne Molinari, La Divisione Garibaldina F. Sabatucci Padova 1943-1945, Forcato Editore Padova 1977
I. Cavallaro, Storia e vita in 16 comuni, Cassa Rurale di Cartura, s.d.
G. Zannini (a cura di) La Difesa del Popolo, 20 Dicembre 1992, pagg. 56-57