In ricordo di Ida Rigoni dei Graber 1882-1965 farmacista a Pontemanco

Ida Rigoni Graber

Ida Rigoni dei Graber

PICCOLA MOSTRA DI MEMORIE FINO AL 7 AGOSTO 2022 – IN RICORDO DI IDA RIGONI DEI GRABER 1882 – 1965 FARMACISTA A PONTEMANCO

La “PICCOLA MOSTRA DI MEMORIE” è stata ideata per ricordare la figura di Ida Rigoni dei Graber. Nata nel 1882 nell’altopiano di Asiago, è la seconda o terza laureata in Farmacia all’Università di Padova: si laurea infatti il 23 giugno 1906, quando per una donna una laurea in Farmacia era una conquista rara......

Manzoni è stato a Maserà ?

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Dite la verità, gentili lettori e frequentatori di Casalserugo e dintorni. Chi di voi ricorda il sesto capitolo dei promessi sposi di Manzoni dove Agnese dice ai due disgraziati amanti Renzo e Lucia come, secondo lei, da donna vissuta, bisognerebbe fare per mettere tutti davanti al fatto compiuto: un matrimonio a sorpresa! Immaginate la scena, proprio come la vedete dalla figura che abbiamo tratto dal libro: Agnese che arringa i due giovani.

- Ascoltatemi bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.
         - Come sta questa faccenda? - domandò Renzo.
         - Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d'accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all'improvviso, che non abbia tempo di scappare. L'uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell'e fatto, sacrosanto come se l'avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie.
         - Possibile? - esclamò Lucia.
         - Come! - disse Agnese: - state a vedere che, in trent'anni che ho passati in questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò imparato nulla.

Il “blitz”, come sappiamo, si risolse in un fallimento, ma era veramente così la faccenda? Ci si poteva sposare in chiesa senza il consenso del parroco, bastava che fosse presente?

Ilario Montesi lo zuccherificio e le distillerie di Cagnola

Cagnola zuccherificio

Nella foto le distillerie di Cagnola negli anni ’50 del novecento

ILARIO MONTESI, LO ZUCCHERO DELLA BASSA PADOVANA E LA VERA STORIA DELLE DISTILLERIE DI CAGNOLA 

La storia dello zucchero in Italia parte da Anagni, nel 1869, dove venne impiantato il primo stabilimento per la lavorazione della barbabietola (1). Subito dopo tutte le aziende agricole di una certa dimensione della pianura padana iniziarono a coltivare la preziosa pianta. Diversi ricchi proprietari terrieri, che avevano già una mentalità più imprenditoriale che da semplici possidenti, capirono immediatamente la potenzialità che offriva questo nuovo sbocco economico per le loro vaste campagne. Con l’aiuto delle varie scuole di agricoltura e cattedre ambulanti, attraverso un’opera di “indottrinamento” dei contadini al loro servizio, questi imprenditori agricoli (tra tutti citiamo i Da Zara ma non solo) iniziarono a soppiantare il mais (da una cui variante, il sorgo zuccherino, si era tentato senza successo fino ad allora di estrarre la preziosa sostanza in quantità economicamente sostenibile) con la barbabietola. Tutto ciò non senza iniziali resistenze da parte dei lavoratori agricoli i quali, abituati da sempre ad avere nel mais una sorta di “paracadute” alimentare (la polenta era di fatto un alimento sempre presente in tavola, spesso l’unico con la conseguente esplosione di pellagra) non vedevano affatto di buon occhio questa pianta misteriosa dalla quale in caso di necessità non si poteva nemmeno ricavare un po’ di farina.
Ad ogni modo la barbabietola, qui da noi, trovò habitat perfetto perché riusciva a crescere senza difficoltà in gran quantità e di qualità molto elevata.
Non è un caso dunque che, grazie ai capital

Il popolo Italiano e il suo milite

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IL POPOLO ITALIANO E IL SUO MILITE di Liviana Gazzetta* Cento anni fa il milite ignoto. Il processo che ha portato a seppellire al Vittoriano la salma di un soldato sconosciuto della Grande guerra costituisce una delle più significative, se non la più significativa forma di memorialistica collettiva che il nostro paese abbia avuto. Questa esigenza nel primo dopoguerra prese vigore anche in altri Paesi europei che avevano partecipato al conflitto, a partire dalla Francia, ma in Italia essa ebbe una partecipazione senza dubbio più corale. L’idea fu avanzata nell’estate del 1920 su proposta del colonnello in congedo Giulio Douhet, già noto per le sue posizioni molto critiche sulla conduzione della guerra da parte dello stato maggiore italiano. L’intenzione era quella di traslare le spoglie al Pantheon, perché “la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli”. ......