Pontemanco borgo da scoprire

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PONTEMANCO BORGO SENZA TEMPO. GUIDA DEL PERCORSO DA SCARICARE!

Come sanno tutti gli amanti dell’arte e del bello, da anni le giornate del FAI sono un appuntamento da non perdere e per quanto riguarda Pontemanco già l’anno scorso, con circa 350 visitatori si è parlato giustamente di grande successo (ricordiamo che il borgo ha circa 200 abitanti).
Come definire allora la partecipazione, il 16 e 17 ottobre appena passato di quasi 750 persone?  Un vero e proprio boom, di questo si è trattato.
Qualcosa come sei visite extra a quelle previste che erano 20, gruppi numerosi ma persone attente, attratte dal borgo senza tempo e dalle spiegazioni delle guide. I visitatori venivano da molte parti dell’Italia settentrionale e oltre, dalla Lombardia, dell’Emilia, dalla Toscana, ecc. Ci sono persone venute appositamente da città anche lontane come Siena, Prato, Como, e altre. Ovviamente numerosissimi padovani e vicentini e non pochi di loro, all’uscita, si meravigliavano con noi per non avere mai visitato prima questo luogo e addirittura di ignorarne la presenza!  
Come Casalserugo e dintorni non possiamo fare altro che complimentarci con gli organizzatori, sperare che queste giornate si ripetano nel nostro territorio, ancora a Pontemanco, certamente, ma non solo perché ci sono tante cose belle da scoprire un po’ in ogni nostro paese, garantendo anche la nostra presenza se necessario.
Diversi partecipanti hanno chiesto se fosse disponibile una piccola memoria stampata, un percorso tra parole e immagini da portarsi via come ricordo. Avevamo promesso, tramite il nostro collaboratore presente alle giornate FAI come guida, che avremmo pubblicato qualcosa sul nostro sito. Ecco dunque pronto un resoconto/guida da scaricare . Buona lettura!

PONTEMANCO, nascita e storia di un borgo

PRIMO PANNELLO inizio del giro

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Pontemanco, (sull’origine del nome esiste ancora il mistero, ci sono alcune ipotesi tra esse qualche divertente fantasia, ad ogni modo Claudio Grandis ipotizza che “manco” significhi sinistro, cioè pericoloso, ma esistono anche altre possibilità) deve gran parte della sua storia e del suo sviluppo al fatto di sorgere sulle rive del canale Biancolino. Ma chi è e da dove viene questo Biancolino?
Esso deve la sua esistenza alla decisione del libero comune di Padova di realizzare il cosiddetto “canale di battaglia” che allora si chiamò “taglio nuovo del Bacchiglione”, opera eseguita tra il 1189 e il 1201.
Qualche passo indietro.
Carrara, a cui appartiene da sempre il borgo di Pontemanco, come testimoniano anche le varie iscrizioni romane ritrovate qui in zona (qualcuna sta all’abazia di Santo Stefano), sorge probabilmente ad un incrocio di strade (carrubio, quadrivio, da qui pare venga il nome Carrara). Queste strade nacquero in appoggio della cosiddetta “centuriazione” ovvero la suddivisione in porzioni uguali del territorio e dati in beneficio dagli imperatori romani in particolar modo agli ex combattenti, legionari di lungo corso. La testimonianza diretta della centuriazione è il “cippo gromatico” ovvero un “paracarro” in trachite trovato nei primi anni settanta a san Pietro Viminario (qua vicino), che certifica l’incrocio fa un cardo e un decumano e che ha permesso agli studiosi di ricostruire un “graticolato” romano, poi spazzato via dalla furia barbarica e da catastrofi naturali.
Passate le invasioni, dopo la dominazione Longobarda arriva Carlo Magno che con i suoi successori porta con se da nord anche dei cavalieri franchi e tedeschi, i quali si stabiliscono nel padovano dando vita a dinastie molto famose, come i Da Camposampiero, Gli Este, e i Da Carrara che prendono il nome da questo posto e non viceversa. I capostipiti di questa casata acquistarono (non ebbero in donazione né in gestione) vaste campagne e divennero in breve tempo i signori di questi luoghi con un grande potere, fondato sulla proprietà terriera, quando invece in città (a Padova) a comandare erano i vescovi.
Nel Basso Medioevo Padova si distinse come Libero comune, partecipando alla Lega Veronese e alla Lega Lombarda contro l'imperatore Federico Barbarossa, ed in questo periodo comunale, nonostante i due catastrofici terremoti del 1004 e del 1117 la città iniziò la risalita, anche economica, tanto che a sugellarne l’importanza si ebbe, nel 1222 la nascita dell’università.
In questo quadro di repentina svolta verso il benessere, i padovani decisero appunto di investire anche per quanto riguarda le “infrastrutture”, come le vie di comunicazione, le autostrade dell’epoca. Oggi si parla di grandi opere e sicuramente grande opera fu quella di intercettare il Bacchiglione alle porte della città e creare un ramo navigabile verso sud, che collegasse le città più importanti del territorio (Este, Monselice) col capoluogo. Uomini, idee e soprattutto merci dovevano viaggiare più rapidamente e massicciamente possibile, ecco l’idea (che poi è la stessa di oggi).
Fatta la premessa e la cornice, ora veniamo al quadro.
Esisteva allora (e c’è ancora), e veniva giù dai colli, una torrentello, uno scolo, che si chiama Rialto il quale dopo avere concluso in pratica il suo tragitto in discesa si accomodava placido in campagna portando acqua vitale da queste parti per poi tuffarsi nel Vigenzone, che tutti conoscono come canale di Cagnola.  Se non che il neonato canale di Battaglia o “taio novo” lo privava in pratica del tratto finale impedendo il deflusso delle sue acque. In aggiunta, il dislivello non consentiva di far confluire le stesse proprio all’interno del Battaglia in quanto quest’ultimo è “pensile” cioè più alto del piano campagna. Dunque dentro l’opera di ingegneria del canale di Battaglia ne fu fatta un’altra, non meno sorprendente: un “sottopassaggio” eseguito vicino al Cataio in località Pigozzo, dove il Rialto viene fatto passare sotto il Battaglia con una “Botte” e subito dopo entra nel Bacchiglione-Vigenzone. Risolto questo problema ne arriva un altro: il tratto finale del Rialto quello che passava di qua rimaneva dunque senza acqua e ciò non si poteva consentire, i carraresi di sicuro non lo avrebbero accettato. Gli ingegneri padovani quindi decisero di aprire una paratoia regolabile sulla sponda di levante del nuovo Battaglia, a Mezzavia, e di alimentare così questo tratto finale del fu rialto, chiamandolo “canale biancolino” il quale dopo un tragitto di 6 Km arriva a Cagnola, dove si accomoda accanto ad un altro canale, il Bolzano che viene dalla Mandria, passa per Albignasego, Maserà e Cornegliana ed entrambi tagliati e rialimentati si gettano nel Vigenzone, a poche centinaia di metri dal ponte di Cagnola.

Perché Pontemanco diventa importante allora?

Proprio qui, questo corso d’acqua presentava probabilmente un piccolo salto di dislivello, l’acqua accelera, poca roba ma sufficiente per far funzionare quella che fin dai tempi più remoti (e per moltissimi secoli a venire) è stata una delle attività economiche fondamentali e più redditizie che esistessero, cioè la macinazione delle granaglie, i molini insomma. Poi c’era intorno un grande, immenso bosco, quindi possibilità di avere a chilometro zero il legno, importantissimo per tutto: dalle ruote agli ingranaggi, le case e quant’altro.
Già nel 1114 (dunque prima ancora del Battaglia) i Da Carrara, (unica famiglia assieme ai Camposampiero) ottenne dall’imperatore Enrico V di poter usufruire liberamente e sfruttare le acque che passavano per i loro possedimenti e dunque fin da allora si può ipotizzare che qui abbiano iniziato a girare le prime ruote di molino.
Va detto che un altro salto d’acqua, ancora più cospicuo, si aveva però all’inizio del Biancolino, proprio accanto alla sponda del Battaglia, a Mezzavia, dove fin dal 1209 dove il comune di Padova fece costruire altri molini, dati in gestione ai i benedettini, così che storicamente, essendo a monte dello stesso corso d’acqua di Pontemanco, la cosa creò non pochi problemi di “concorrenza” e “vicinato”.  Tutti questi molini, aggiunti a quelli di Battaglia divennero così numerosi che consentirono di poter eliminare quelli galleggianti dentro al Vigenzone tra Cagnola Bovolenta e Pontelongo così da rendere il traffico fluviale da e per la laguna molto più scorrevole.
Dunque se Pontemanco e le sue ruote probabilmente avevano iniziato il loro percorso nella storia perlomeno già da due secoli, il primo documento ufficiale che nomina il borgo è il testamento di Marsilio Da Carrara, datato otto marzo 1338 nel quale uno dei sette signori carraresi di Padova (in effetti i carraresi da signori di campagna avevano fatto discreta carriera) egli lasciava i molini di Pontemanco in perpetuo alla discendenza maschile della famiglia o al comune di Padova se questa discendenza cessava.

SECONDO PANNELLO Piazzetta del molino

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Tutto quanto stabilito da Marsilio (sepolto a Santo Stefano) rimase legge fino al 1405 quando gli ultimi discendenti dei Da Carrara (Francesco Novello e i due figli) sconfitti dai veneziani e fatti prigionieri furono ammazzati a bastonate senza processo in carcere a Venezia e tutto passò nelle mani della Serenissima.
Il governo veneziano mise in vendita all’asta come bottino di guerra tutti i beni dei carraresi, compreso la gastaldia di carrara e i molini di pontemanco, così che mentre la gastaldia se la aggiudicò la famiglia Bragadin i molini divennero proprietà dei Morosini “dalla sbarra” mentre la comunità religiosa di Santo Stefano, fondata dagli stessi carraresi fu dispersa e data in gestione, con relativi benefici, ad un frate marchigiano amico dei veneziani.
Nel 1406 sono documentate otto ruote idrauliche, 4 nella sponda destra e 4 nella sponda sinistra, perfettamente simmetriche. Barbon Morosini, uno dei fratelli proprietari dei molini di Pontemanco era un tipo assai conosciuto, un politico di razza, incaricato di comandare le truppe veneziane in coabitazione con il celebre (di manzoniana memoria) capitano di ventura Francesco Bussone, conosciuto come “il conte di carmagnola” il quale voleva disfarsi dello scomodo veneziano ma non ci riuscì e anzi fu proprio lui a cadere in disgrazia e messo a morte dalla serenissima nel 1432. La mappa che vedete, nata dalla necessità di divisione dei beni dei discendenti Morosini, è datata 1466 ed è in assoluto la prima raffigurazione di un borgo abitato della provincia di Padova, città compresa, questo a testimoniare dell’importanza dei molini, veri e propri “pozzi petroliferi” per l’epoca, cioè garantivano entrate cospicue.

Col passare degli anni il ruolo economico di Pontemanco ebbe a crescere ancora, diventando uno dei luoghi di questa zona certamente più popolosi e importanti, per il quale dobbiamo immaginarci si i molini, che nel frattempo si ingrandivano e aggiungevano ruote (dopo la metà del ‘500 crebbero fino a diventare dodici, primato assoluto per la provincia di Padova), ma anche tutto l’indotto che nasceva a fianco. Falegnami, fabbri, fornai, osti, maniscalchi, carradori, poste per i cavalli, locande per riposare. Poi le abitazioni che aumentavano perché aumentavano le maestranze e tanti altri servizi. A dominare la scena erano comunque i Munari, i mugnai, che per tutta la durata della loro esistenza non godettero mai di buona fama. In effetti erano considerati, dai poveri ed ignoranti contadini della zona che qui portavano le poche granaglie che rimanevano loro dopo avere pagato il padrone a macinare, poco meno che ladri e attaccabrighe, accusati di lucrare sul calo ponderale consentito dalla legge, truccare le bilance e altre cosucce, non ultima quella di avere un gran brutto carattere, facile all’ira.  
Ad ogni modo, nei successivi lasciti testamentari delle varie proprietà succedutesi, sempre tra nobili e patrizi veneziani, si evince come ad un certo momento i destini dei due mulini (destra e sinistra) si siano separati con l’accortezza però di legare sempre le macine di destra alle proprietà (i fabbricati) di sinistra e viceversa, questo perché in tale modo entrambe le proprietà avevano interesse a mantenere saldo e in perfetta efficienza il ponte in legno sul Biancolino.
Così l’impianto di destra (quello ancora esistente, Zhivago) passò da prima dai Morosini ai Pasqualigo (1577) poi ai Grimani, che ebbero in proprietà anche la villa e l’oratorio. Vedete: molino di destra, fabbricato di sinistra. Nell’ottocento furono proprietari due Antonio Maria Marcolini, prima il nonno e poi il nipote, i quali cedettero l’oratorio della B.V. annunziata alla parrocchia e vendettero la villa ai Fortini, tutt’ora proprietari, mentre il mulino ammodernato negli anni cinquanta del novecento cessa la sua attività definitivamente nel 1996. Attentamente restaurato e recuperati sapientemente alla vista alcune ruote, ingranaggi e pavimentazione in trachite del vecchio molino, è stato acquistato da un privato, come si può vedere.
L’impianto di sinistra invece, iniziata la sua vicenda veneziana sotto un Barbon Morosini, è un altro Barbon, un nipote di questo che, trovandosi in difficoltà economiche nel 1615 ne vende i 18/24 a Ottaviano Bon, figlio del procuratore di San Marco Alessandro. Ottaviano Bon, ambasciatore di Venezia a Costantinopoli, al Topkapi. (1604-1608). Amico di Sarpi e Galileo, fratello di Alvise Bon quel fratello assassino che nessuno vorrebbe avere.
Ad interrompere il passaggio di mano di queste proprietà tra i componenti della famiglia Bon, ci pensò un pronipote, che nel 1778 non avendo eredi nominò beneficiaria di tutti i suoi beni una donna che di lui si prese cura, tale Anna Maria Saler, già sposata Priuli così, che d’un colpo lei e suo figlio Filippo, si trovarono ricchi sfondati. Ovviamente i parenti del defunto Bon, membri di altre famiglie nobili veneziane (erano tutti imparentati tra loro) impugnarono il testamento, seguì lunghissima causa che si concluse con la rinuncia della Saler ai molini di Pontemanco in favore della proprietà dell’intero castello di Bovolenta dove vigeva ancora il porto franco. I molini di sinistra quindi passarono alle famiglie Nani, Tiepolo, Fini, i quali, dopo la burrasca napoleonica, all’inizio dell’ottocento, quando vennero a cadere le esenzioni fiscali, affidarono la gestione delle ruote dell’intero borgo al già citato Antonio Maria Marcolini. Costui, grande affarista (forse massone) approfittando dell’inesorabile decadenza della nobiltà parruccona, diventò un po’ per volta il vero e unico proprietario di entrambi i molini, proprio come lo furono i Morosini 4 secoli prima.
Da Marcolini in poi i proprietari si succedettero in molti e velocemente, così che non conviene né è interessante citarli. Piuttosto abbiamo detto dell’importanza dei molini per molti secoli e visto che col racconto siamo nell’ottocento, non si può far passare sotto silenzio il fatto che qui, ai molini di Pontemanco, come del resto in ogni posta molitoria, fu introdotta a partire dal 1 gennaio 1869 la cosiddetta “tassa sul macinato”. Che cos’era e come funzionava questa tassa e perché è stata importantissima?
Dopo la riunificazione italiana sotto i Savoia e l’annessione del Veneto al regno, rimanevano da pagare le spese di guerra e onorare i debiti italiani soprattutto verso l’estero, le casse dello stato erano al lumicino e occorreva trovare del denaro. Fu applicata quindi la regola di far pagare alle classi più povere questa situazione, come diceva Ettore Petrolini: dove prende i soldi lo stato? Dai poveri perché è vero che hanno poco ma sono tantissimi. Ed in effetti venne introdotta una tassa, nemmeno tanto bassa, che imponeva il pagamento di una quota in base alla quantità di macinato che veniva prodotta. A questo scopo un funzionario statale veniva qua, applicava un contagiri sigillato alle macine e tot giri, tot soldi dovevano saltare fuori, trasformando così la categoria dei mugnai già parecchio malvista in esattori per conto del governo.
A parte alcune rivolte locali, presto sedate, questa tassa, su un prodotto che già era l’unico sostentamento o quasi delle famiglie contadine, provocò l’esplosione della povertà, della pellagra ma soprattutto dell’emigrazione di massa dei veneti, padovani, specialmente della bassa ma non solo i quali si sparsero letteralmente nel mondo, in primis sud e nord America.
Ritornando al borgo di Pontemanco.
In un documento del 1797 risultano a Pontemanco ben 76 unità immobiliari. Ancora alla fine degli anni cinquanta del novecento si contavano 500 abitanti.
Poi, dopo l’incendio che la notte del 1 novembre 1971 distrusse il molino di sinistra e la progressiva dismissione dell’attività di macinazione, il borgo si è svuotato, fino a divenire quasi fantasma. Ma, come a concludere col lieto fine, grazie ad alcune iniziative di restauro, di volontariato e la caparbietà di alcuni abitanti che hanno visto nel recupero anche a fini turistici di questo posto la via per farlo risuscitare, pian piano Pontemanco è tornato a vivere.   

TERZA TAPPA - L'oratorio

Paolo Valandro

L’Oratorio della Beata Vergine Annunciata di Due Carrare (altrimenti detto di Santa Maria Annunziata) costituisce – congiuntamente all’adiacente villa veneta – il fulcro visuale della piccola piazzetta posta in riva sinistra del canale Biancolino, negli immediati pressi del suo ponte.
La fabbrica, di impianto classico, ha pianta trapezia (larghezza interna di m 6,20 all’ingresso, 5,12 sul presbiterio, lunghezza di 9,03-9,10 m con il muro est non perfettamente rettilineo, altezza all’imposta del cassettonato di 4,50 m). E’ affiancato un piccolo vano ad uso di sacrestia.
La facciata a capanna è scandita da quattro paraste tuscaniche (colonne in mattoni leggermente in rilievo di gusto rinascimentale “etrusco”) e timpano triangolare con architrave tripartita e fregio, dedicazione dipinta entro lo specchio del timpano, nel quale è ancora rilevabile l’impronta ovale – ora illeggibile - di un’immagine dipinta (forse lo stemma nobiliare del patrono). Il portale rettangolare ha una modanatura aggettante cioè una decorazione a sbalzo, in corrispondenza dell'architrave ed è sormontato da una finestra a lunetta.
Il tetto è a tre spioventi su struttura lignea a capriate. Sul suo fianco ovest si trova il campanile a vela.
Vicende storiche e proprietarie.
Per circa 350 anni, sino all’ultimo quarto dell’Ottocento, le vicissitudini storiche e proprietarie del tempietto seguono quelle dell’adiacente palazzo Pasqualigo-Grimani (ora Fortini), di cui costituiva originaria pertinenza.
La prima notizia documentata dell’oratorio come luogo cultuale privato risale al 1548 (proprietà Morosini – ramo della Sbarra, originaria famiglia acquirente - dalla Serenissima nel 1406 - dei mulini di Pontemanco e Battaglia, attraverso i suoi esponenti Barbon e Bernardo.
Con il passaggio ereditario (1577) alla famiglia Pasqualigo, verso la fine del Cinquecento abbiamo anche la prima attestazione (1595) del suo uso pubblico. E’ con questa famiglia, dunque nel XVII secolo, che l’oratorio prenderà l’aspetto architettonico esterno e artistico interno attuale (al 1672 risale l’esecuzione degli affreschi parietali del bresciano Girolamo Cellini).

esterno oratorio
Seguì per oltre un secolo la totale mancanza di manutenzione fino a quando il nuovo ottocentesco proprietario dei molini sulla destra della villa qui accanto e dell’oratorio, quell’Antonio Maria Marcolini già citato prima, decise di intervenire a sue spese con un importante e per allora risolutivo restauro nel 1878, certificato da una visita pastorale del Vescovo di dieci anni posteriore che lo qualificava come “in ottime condizioni”. Il Marcolini poi vende alla parrocchia l’oratorio ma sarà solo nel 1933 – dopo un contenzioso quarantennale - che il luogo di culto perverrà nella piena proprietà della parrocchia di Carrara S. Giorgio, ottenendo poi nel 1993 il vincolo monumentale.
Purtroppo dal 1878 nessun altro intervento venne attuato sul bene, anche perché il piccolo borgo nel frattempo si stava via via spopolando (se fino alla fine dell’Ottocento ben 500 erano i borghigiani presenti, scenderanno a 400 alla metà del Novecento, rispetto agli attuali 200), per non parlare della scomparsa quasi totale delle attività economiche. Infatti, se sino alla metà del Novecento vi erano insediate ben una settantina di attività, tra le quali ben sette osterie, tutte direttamente o indirettamente collegate all'attività molitoria, attualmente risultano presenti solamente un rinomato caffè ed un panificio, oltre a due B&B.
Negli ultimi vent’anni però Il vivo coinvolgimento dei borghigiani e della parrocchia – pur nelle angustie economiche della piccola comunità – sta attuando già da qualche tempo, a piccoli passi, i primi puntuali interventi di restauro, confidando che questi interventi si possano ampliare anche all’intera struttura interna ed esterna e degli apparati decorativi

QUARTA TAPPA: Villa Grimani Fortini

villa grimani fortini

Villa Pasqualigo Grimani ora Fortini


Inquadramento storico
Con la conquista da parte di Venezia dei domini Carraresi (1405), i beni da questi posseduti – suddivisi in varie gastaldie - vennero messi all’asta. L’11 settembre 1406 i rettori e provveditori di Padova vendono per il prezzo di lire 45600 di piccoli, a Barbon e Bernardo Morosini in consorzio con Francesco Corner, una posta di molini e la fabbrica di carta in Battaglia con case e sedimi di terra, due poste di molini con case e campi di terra a Pontemanco (vi erano compresi i terreni dove sorgerà villa Grimani e l’oratorio), nelle pertinenze di Carrara; una casa con brolo di fronte la chiesa di Carrara ed alcuni campi in contrade vicine
I Pasqualigo (eredi diretti dei Morosini) trasformeranno in villa quello che in origine era nato come palazzetto (per la famiglia o per il gastaldo).
E’ in una rappresentazione peritale (anno 1642) del territorio ad est del naviglio Battaglia, il primo disegno in cui il perito Giuliano Napolitan illustra il percorso del canale Biancolino da Mezzavia a Pontemanco, ove gli edifici all’epoca esistenti sono raffigurati in vista prospettica piuttosto fedele, la Villa e l’Oratorio rivelano già l’assetto che conservano ancora tutt’oggi, e la proprietà viene assegnata all’ “Ill.mo Pasqualigo”.
Nel 1669 ci soccorre un’altra rappresentazione grafica a margine di una perizia di Francesco Fiorini, nella quale vengono rappresentati a volo d’uccello i fabbricati del centro di Pontemanco, con segnalazione dei “Mollini de Pontemanco” e delle “Case de Cà Pasqualigo”. Vi viene raffigurata anche la barchessa posteriore della villa.
Con l'estinzione del ramo dinastico, nel 1751 le proprietà passano ai Grimani di S. Polo (dell'albero d'oro), poi Grimani Giustinian.
Dopo un passaggio nel tardo Ottocento ai Marcolini (famiglia di notai) proviene agli Stefani nel 1921. La proprietà passa in carico alla famiglia Fortini - che ne risulta ancora proprietaria - nel 1922.
Verrà poi vincolata con decreto del 1993.

Inquadramento urbanistico
Il complesso è posto presso il "salto" del canale Biancolino, ove si è sviluppata sin dal Quattrocento l'attività della macinazione delle granaglie a seguito del naturale insediamento di una serie di molini sul fiume cui fa seguito la costruzione di edifici collegati all'attività. La famiglia Pasqualigo ottiene dalla Serenissima la concessione dello sfruttamento delle acque in Pontemanco verso la metà del Seicento, e dal loro insediarsi in loco prende vita ed impulso la costruzione di manufatti collegati direttamente all'attività produttiva e commerciale, legata sia alla macinazione sia al trasporto di derrate per Venezia.
Il complesso di villa Pasqualigo Grimani è formato da più edifici. L'oratorio dedicato alla Vergine Annunciata, di cui già si è detto, è posto a sinistra della villa vera e propria.

La villa ed i fabbricati di pertinenza
La villa si ergeva in origine come blocco compatto, a base quadrata ed elevato di due piani più soffitte, coperto da tetto a quattro falde. Le è stato successivamente aggiunto un volume sul retro, nel lato ad ovest, che ne ha modificato, oltre che la distribuzione interna, anche l'impatto visivo originario.
Il fronte principale è diviso in cinque assi verticali forometrici ed è focalizzato sulla trifora 10
archivoltata del salone mediano passante del piano nobile, aperta su una balaustra a colonne. Sono archivoltate le restanti finestre del piano nobile ed il portale di ingresso sottostante, mentre sono architravate tutte le rimanenti aperture. Decorativamente il fronte ha partizioni marcapiano e cornici delle luci in laterizio, solo il contorno del portale è in materiale lapideo.
Il fronte posteriore perde tutto l'apparato di abbellimento: sostituisce la trifora del piano nobile con un semplice foro architravato e mostra solo nell'ingresso sottostante una leggera attenzione alla decorazione. I fianchi sono segnati dalla presenza degli alti camini, quello ad ovest parzialmente occultato dalla superfetazione; nel fronte ad est si presentano archivoltate le finestre in corrispondenza del vano scala.
Negli interni lo schema pianimetrico ricalca i modi classici alla veneta, con salone passante e quattro stanze ai lati; ha camini in pietra e marmo e decorazione ad affresco, scoperta sotto l’intonaco, che popolarmente si dice sia stata coperta di calce durante la peste.
Completa il tutto la piccola corte antistante, con cancellata in ferro battuto su pilastri, vasi acroteriali in terracotta e vera da pozzo interna in pietra di cava a pianta quadrata.

Le adiacenze sono definite in due gruppi di edifici
Un primo volume è inserito nella corte posteriore della villa ed era probabilmente utilizzato come residenza dei contadini che lavoravano nei fondi dei Pasqualigo-Grimani. E’ una vera e propria schiera, con celle abitative elevate su due piani e sottotetto illuminato da abbaini; sopra la linea dell'architrave è decorata da cornice sottogronda a dentelli da cui si alza la falda a capanna del tetto; restano solo le teste laterali dell'edifìcio mentre la parte mediana è crollata.
L'altra adiacenza è costruita lungo il canale Biancolino, sulla strada che collega la frazione di Pontemanco con quella di Cornegliana; è un edificio a schiera ove erano inserite sia funzioni abitative, sia commerciali ed artigianali a servizio del complesso produttivo. Costruttivamente ripresenta i modi del volume interno alla corte, con aperture architravate e cornice di gronda a dentelli. Ne è stata restaurata di recente una parte ed è segnata, verso la villa, da una torretta a base quadrata, terminante con merlatura, che marca l'accesso alla corte interna; la torre non è stata restaurata.

QUINTA TAPPA: Interno del molino restaurato

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SESTA TAPPA: Sopra l’argine dietro i molini

Interessante da notare da questo punto non sono tanto le teste di leone in pietra (per le quali non si conosce né con che materiale sono state realizzate né la datazione) quanto piuttosto che da qui si riesce a scorgere (200 metri a valle) l’immissione sul Biancolino del canale di deflusso delle acque. Questo deflusso si rendeva necessario in caso si fossero dovuti fare i lavori ai molini e all’invaso davanti a questi. Ovviamente quelli erano lavori che si dovevano fare in assenza di acqua che quindi veniva intercettata a monte e deviata su un alveo che girava attorno ai molini scaricando a valle. Tutta la parte a monte del ponte è pavimentata a doppia pavimentazione e quindi il canale di bypass nasce coi molini perché di sicuro quei lavori di pavimentazione non sono stati fatti con l’acqua dentro al canale!. Da qui si vedono anche i calloni, che sono quelle strettoie artificiali entro le quali l’acqua doveva passare. Sono 5: due a destra e due a sinistra più una centrale, la cosiddetta bova “bastarda” che significa collaterale, la quale serviva per smaltire l’acqua in eccedenza poiché il segreto dei mulini era far funzionare le ruote a pale immerse con la più grande regolarità possibile, senza mai sbalzi. In effetti, con scarsità di acqua si macinava “a colmo” ovvero non in continuo: prima si riempiva l’invaso subito a monte dei molini e poi lo si apriva regolando il flusso.
Le ruote (ad un certo punto sei per mulino) venivano sistemate alternate: la prima sul callone interno la seconda sull’esterno la terza interno e così via. Qui sul mulino di sinistra l’ultima ruota era adibita alla cosiddetta sega veneziana, cioè la ruota faceva funzionare una sega per tagliare i tronchi degli alberi con un automatismo che in contemporanea muoveva l’attrezzo e faceva avanzare il carro col tronco fissato sopra.

Ennio Chiaretto.
Fonti: Claudio Grandis, Paolo Valandro, N. Zucchello (a cura di), "Ville venete: la Provincia di Padova", IRVV - Marsilio, Venezia 2001 e altri - Foto di Lorenzo Adolfo e Roberto Olin

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