Sorta prima come cappella intorno al VI secolo, edificata sopra i resti di una antica abitazione romana di cui rimangono ampie tracce; (Foto1 - particolare degli scavi duranti il restauro della Chiesa) e (Foto2 - particolare del pavimento musivo, probabile rsiduo dell'antico primo tempietto dedicato a San Martino) nel IX secolo, molto probabilmente a seguito delle devastazioni dovute alle invasioni barbariche, la chiesa venne riedificata e dedicata al culto di Santa Maria.
Da sempre la chiesa parrocchiale di Santa Maria a Masera’ di Padova e’ nominata nei documenti con la qualifica di Pieve, in quanto Masera’ come Corte benedettina era capoluogo di un intero distretto. Dunque ogni corte aveva una chiesa principale chiamata “Pieve” (da plebs=plebe) la quale poteva anche essere “madre” di altre chiese nelle vicinanze ed acquisire cosi’ anche il nome di “Pieve matrice”; in questo senso Pieve Matrice per Masera’ fu direttamente la cattedrale di Padova e dunque solo da essa dipendeva, mentre invece dipendevano da Masera’ le chiese di Casalserugo, Ronchi del volo, Bertipaglia, Ca’ Mura’,Cornegliana, Polverara, Carpanedo, Albignasego, Lion e S. Giorgio “de Clausuris” a Lion, ora scomparsa, fino ad arrivare ai possedimenti benedettini di Correzzola. Il rettore della Pieve di Masera’ ha sempre avuto il titolo di arciprete.
Le tracce molto nitide lasciate sulle fondazioni della “domus” romana su cui vennero costruite prima la cappella di San Martino e poi la prima “Pieve” descrivono in modo abbastanza chiaro che, sebbene non di vaste proporzioni, quest’ultima era edificata a tre navate e con ogni probabilita’ si presentava con il tipico aspetto delle chiese romaniche.
Si noti, a questo proposito, appena entrati dalla porta principale sotto i vetri a pavimento i resti della casa romana emersa dagli scavi: si vedono esattamente i fori lasciati dall’originario colonnato e una piccola porzione del pavimento musivo, parte di quello che fu l’originario tempietto.
A sinistra l’antica fonte battesimale in pietra, con protezione lignea settecentesca; ( Foto fonte battesimale ) solo le Pievi potevano avere la fonte battesimale: per battezzare i neonati le persone che abitavano nei paesi dei dintorni, pur essendovi una chiesa, dovevano venire obbligatoriamente a Masera’.
Subito dopo la fonte battesimale, sempre a sinistra lungo la parete, protette da vetro di si notano le fondazioni della chiesa e tra esse il materiale utilizzato per l’edificazione, tra cui il coperchio di un sarcofago medievale.
La prima chiesa, ancora in piedi nel 1449, venne totalmente ricostruita in modo completamente diverso solo pochi anni piu’ tardi. Questa seconda chiesa, quella attuale, venne infatti consacrata l'8 settembre 1496. Che cosa successe alla costruzione precedente? Molto probabilmente fu oggetto di un crollo e comunque era divenuta sicuramente troppo piccola per l’evoluzione demografica del paese.
Il soffitto in travature lignee che si nota oggi e’ quello originale, rimasto nascosto per tantissimi anni in passato da un controsoffitto. Originariamente inoltre il cimitero era a ridosso della Pieve, sia nel prato lungo la parete nord sia dietro l'abside, cosa che prevedeva dunque l’ingresso degli uomini dalla porta principale rivolta a ovest, mentre le donne entravano da una porticina situata lungo la parete sud; lo stesso lato dove sorge la canonica, che aveva anch’essa un ingresso autonomo in chiesa, in modo che il parroco potesse passare dalla canonica alla chiesa senza uscire.
Interno della Pieve. Da sinistra a destra: altare della Madonna, affresco di Jacopo da Montagnana, pala di Giovan Battista Pellizzari, altare maggiore con tabernacolo e pala di Francesco Bassano, pala di Pietro Damini, all'estrema destra il pulpito.
Proseguendo all’interno lungo la parete laterale nord si giunge all’altare dedicato all’aspettazione del Parto. Realizzato nel seicento con marmi policromi, originariamente conteneva una bella statua in terracotta della Madonna con bambino, sempre seicentesca, ora conservata presso la nuova chiesa arcipretale e sostituita da una statua piu’ recente. Foto altare madonna
Sempre sulla parete nord si trova l’affresco, la cui attribuzione lascia pochi dubbi riguardo l’opera di Jacopo da Montagnana e della sua scuola. Sebbene rovinato e sbiadito, in esso si possono notare quegli elementi “mantegneschi” tipiche del pittore. I quadri del breve ciclo pittorico, realizzati intorno al 1495 in prossimita’ della consacrazione della nuova Pieve (subito prima del periodo nel quale si suppone abbia svolto il lavoro al santuario di Monteortone) sono intervallati dalla raffigurazione di belle colonne classicheggianti.
Affresco di Jacopo da Montagnana
Verso l’altare i quadri sono: Adorazione dei Magi, Nativita’, Visita di Maria ad Elisabetta, Annunciazione, in questo senso un caso raro in quanto solitamente i quadri, in ordine cronologico andavano dal fedele che entrava e verso l’altare, mai viceversa.
Molti dettagli hanno fatto ritenere agli esperti la certa attribuzione al maestro (vedi riquadro biografia); ad esempio nell’adorazione dei Magi, in alto sullo sfondo si notano le mura di una citta’, che avrebbero potuto anche essere la raffigurazione di Gerusalemme, ma che tradiscono invece le origini del pittore attraverso il campanile, facilmente riconoscibile in quello della chiesa di San Francesco a Montagnana.
LE TRE PALE D’ALTARE
Da sinistra (subito dopo l’affresco) di Giovanni Battista Pellizzari (vedi riquadro biografie) c’e’ la pala d’altare della “Madonna del Rosario”. Si noti che sia la Madonna sia il bambino tengono in mano le corone del Rosario, porgendole ai propagatori del Rosario, San Domenico (a sin) e Santa Caterina da Siena (a Destra). Dietro la santa si vede San Carlo Borromeo, cardinale Arcivescovo di Milano, morto nel 1584 e canonizzato Santo nel 1610, dunque solamente qualche decina d’anni prima della realizzazione di questa pala.
Dietro a san Domenico invece vediamo Sant’Antonio
In alto del dipinto, a fare da corona ci sono dei medaglioni raffiguranti in miniatura i misteri del Rosario; ricordiamo che non era passato nemmeno un secolo da quando le modalita’ della recitazione del rosario erano state stabilite da Papa Pio V.
Di notevole pregio lo sfondo realizzato dal pittore, sfondi per cui era divenuto molto richiesto e famoso ai suoi tempi.
Una chiesetta con dei colli sullo sfondo, separata da un piccolo borgo di case; forse solo una fantasia o forse, secondo una interpretazione suggestiva di qualcuno, il pittore intendeva raffigurare la vecchia chiesetta di Masera’ prima del crollo o dell’abbattimento.
Pala di Giovan Battista Pellizzari
( Foto particolare chiesetta sullo sfondo )
All’altare maggiore, dietro al tabernacolo, c’e’ forse la pala di maggior pregio e rilevanza, opera di uno dei pittori Bassano (Jacopo o Francesco Dal Ponte, padre e figlio) che hanno tratti somiglianti e spesso hanno dipinto insieme.
Ad ogni modo alcuni particolari fanno ritenere la pala opera di Francesco Da Ponte detto Francesco Bassano, pittore di notevolissime capacita’ nell’uso del chiaroscuro.
Nel dipinto (La Nativita’ di Maria) le figure infatti sembrano letteralmente uscire dall’ombra e l’artista, dipingendo i particolari (colletti, maniche, pezze) di un bianco vivo e’ riuscito a donare anche una certa tridimensionalita’ alla composizione, che nel complesso cosi’ risulta veramente efficace, di grande livello pittorico. Quest’opera, databile intorno la seconda meta’ del 1500 e’ piu’ vecchia di almeno mezzo secolo rispetto alle altre e raffigura la nascita di Maria, con la madre (Sant’Anna), amorevolmente assistita e alla quale viene porto un vassoio con del brodo, mentre sulla sinistra una donna sta piegando le strisce di panno, denotando cosi’ una notevole propensione al realismo.
Da notare che il bel tabernacolo nasconde una buona parte del dipinto, questo perche’ la collocazione del manufatto marmoreo e’ posteriore al posizionamento della pala (dal concilio di Trento, terminato nel 1563), ed e’ in posizione centrale come voleva la tradizione, solo piu’ tardi i tabernacoli verranno posizionati ai lati dell’altare maggiore.
Altare maggiore
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La terza pala d’altare (a destra), detta Pala di san Benedetto, appare certa l’attribuzione a Pietro Damini; pittore di Castelfranco divenuto molto famoso tra la fine del 500 e l’inizio del 600, specialmente a Padova, dove viene anzi considerato il pittore piu’ rappresentativo a cavallo dei due secoli e colui che piu’ di altri sposto’ i canoni della pittura verso il barocco, secondo i dettami del concilio di Trento.
Anche qui vi e’ lo sfondo di fantasia, che in un primo momento aveva indotto all’errore alcuni esperti, attribuendo questo dipinto al Pellizzari come la pala del lato opposto.
In realta’ anche se le composizioni sono simili lo stile e’ diverso, come l’uso del colore: qui siamo piu’ sulla scuola del Veronese che molto influenzo’ la pittura di Damini.
In questa pala sono rappresentati San Benedetto con il saio nero (logicamente la chiesa era dei benedettini) e dalla parte opposta San Bovo, protettore degli animali e delle stalle, con una mucca pacificamente distesa al suo fianco.
Era usanza anche dalle nostre parti infatti fare benedire le stalle dal parroco del paese, che lasciava una immagine di San Bovo attaccata al muro. Dunque per una chiesa di campagna come la nostra il culto di san Bovo deve essere stato davvero molto sentito, tanto da raffigurare il Santo, assieme ad un animale da stalla “principe” (la mucca da latte) dentro una pala d’altare.
Sopra, in alto, a vegliare i due Santi si nota la SS Trinita’, assisa su un trono di nuvole e cherubini.
Pala di Pietro Damini
Clicca qui per particolare pala Pietro Damini
TABERNACOLO
Il Tabernacolo, ( VEDI )originale e bellissima realizzazione in marmi policromi sormontati da bronzetti raffiguranti angeli. ( VEDI ) Di epoca rinascimentale richiama un po’ un tempio, una chiesa sullo stile della Madonna della Salute a Venezia, della stessa epoca.
CROCEFISSO
Il crocefisso in legno policromo, recentemente e ottimamente restaurato, di epoca tardo seicentesca o anche settecentesca, raffigura il Cristo con un realismo veramente eccezionale, durante una torsione, quasi uno spasmo, con la bocca aperta e addirittura la dentatura in piena evidenza, proprio un essere umano colto nel momento del terribile trapasso, notevole e curioso.
Vedi particolare del crocefisso
PULPITO
Realizzato in legno di noce, opera di un maestro intagliatore e’ databile intorno ai primi decenni del 1600, voluta senza dubbio dai frati benedettini. Sopra il baldacchino del pulpito (a cui il parroco accedeva da una scalinata esterna non piu’ esistente) si trova la cosiddetta bigoncia, ovvero il soffitto ligneo con una raffigurazione dello Spirito Santo e al centro, sul muro, si trova la lapide che ricorda la consacrazione della chiesa.
Dentro il pulpito e’ conservato un antico e unico candelabro ligneo, probabilmente settecentesco, che sostiene 15 piccole candeline: il cosidetto candelabro del Venerdi Santo, durante il quale la normale messa veniva sostituita in chiesa dai salmi, che sono appunto 15. Ad ogni salmo corrispondeva quindi una candelina e queste venivano spente da parroco man mano che la recita dei salmi proseguiva.
Pulpito ligneo, al centro il candelabro del venerdì santo. Dietro, la lapide con l'iscrizione della consacrazione della Pieve.
Purtroppo nel crollo del tetto avvenuto nel 1990 e’ andato perduto il prezioso ORGANO A CANNE, d’epoca ottocentesca, della ditta Puggina, originaria di Bertipaglia, che era situato nel baldacchino sopra l’ingresso principale, ora desolatamente vuoto.
( Foto crollo 1 tetto della Pieve ) ( Foto crollo 2 particolare organo a canne e baldacchino ) ( Foto crollo 3 Il campanile visto dall'interno della chiesa)
CAMPANILE
Il campanile originario crollo’ (non si sa come mai) già alla fine del 1600. La campana fu sistemata su di un baldacchino provvisorio nella piazzetta antistante, talmente provvisoriamente che duro’ fino al 1874, anno in cui venne edificato, addossato all’angolo sud ovest, il nuovo campanile. Per l’orologio invece bisognera’ aspettare il 1912
BIOGRAFIE
JACOPO DA MONTAGNANA
PARISATI, Jacopo (Jacopo di Parisio, Jacopo da Montagnana). – 1440(?) -1499
Per la prima menzione dell’artista si deve attendere il 12 giugno 1458, quando il padre di Jacopo, abitante nel borgo Ognissanti a Padova, stipulò un contratto di apprendistato a nome del figlio. La prima commissione a lui riferibile risale al 29 novembre di quell’anno, quando il pittore veneziano Matteo dal Pozzo e il padovano Pietro Calzetta ricevettero l’incarico da parte degli esecutori testamentari del condottiero Erasmo da Narni e dei massari dell’Arca del Santo di decorare ad affresco la perduta cappella Gattamelata nella basilica antoniana. A Jacopo da Montagnana venne assegnato un terzo del lavoro.
Entro il 12 novembre 1490 il pittore decorò ad affresco la sala del Consiglio maggiore del palazzo comunale di Belluno, che conosciamo grazie ad alcuni frammenti di affresco conservati nel locale Museo civico, dopo di che Jacopo tornò a lavorare in Vescovado a Padova, il 5 settembre 1494 per affrescare la cappella privata voluta da Pietro Barozzi, e il 24 gennaio 1495 per dipingere il Trittico dell’Annunciazione ancora in situ sull’altare, mentre con Prospero da Piazzola, a partire dal 14 agosto 1497, divise l’incarico di decorare la sala ‘da basso’ e l’esterno del palazzo.
Non è chiaro, invece, quando Jacopo venne chiamato ad affrescare il presbiterio del santuario di Monteortone ad Abano Terme (Padova), consacrato dal Barozzi il 28 agosto 1497.
Sappiamo in ogni caso che, nel momento in cui il pittore stipulò il contratto per affrescare la cappella in Vescovado, il 5 settembre 1494, l’unica deroga tollerata per l’interruzione dei lavori poteva essere la richiesta dei fabbricieri di Monteortone di proseguire la commissione, sospesa in seguito alla grave malattia che aveva colpito la moglie
Morì, forse a Padova, in un lasso di tempo compreso tra il 20 aprile del 1499, giorno in cui dettò il proprio testamento e il 14 agosto dello stesso anno, quando risulta già defunto.
L’affresco della Madonna col Bambino (Padova, Musei civici), staccato da una casa Obizzi – famiglia proprietaria dell’abitazione in Volto dei Negri, presso la chiesa di S. Maria dei Servi, in cui il pittore visse dal 1485 fino alla morte –, assieme alla Madonna col Bambino del santuario del Tresto a Ospedaletto Euganeo edificato tra il 1468 e il 1470, e alla Madonna col Bambino della Johnson Collection di Philadelphia costituiscono la prova della vicinanza tra Jacopo da Montagnana e Giovanni Bellini. La presenza di una Madonna con il caratteristico velo bianco, fissato al centro del petto da un fermaglio, ha consentito di assegnare dubitativamente a Jacopo anche la pala già nella chiesa padovana di S. Stefano (Venezia, Gallerie dell’Accademia), da leggersi come sua risposta al trittico di Andrea Mantegna per la basilica di S. Zeno a Verona.
Il catalogo delle opere più propriamente ‘mantegnesche’ di Jacopo da Montagnana, quello che presenta cioè i maggiori punti di contatto con le opere documentate, ha subito numerose revisioni a causa dell’assenza di dipinti ascrivibili con sicurezza ai pittori padovani suoi coetanei, ai quali la critica otto-novecentesca ha tentato a più riprese di restituire una fisionomia storico-artistica. Oltre alle opere già citate, gli vengono assegnate concordemente le seguenti: Cristo in pietà sorretto dalla Vergine, Budapest, Szépművészeti Múzeum; Madonna col Bambino, Ferrara, Pinacoteca nazionale; Deposizione di Cristo dalla croce, Hannover, Niedersächsiches Museum; Cristo in pietà tra la Vergine e s. Giovanni Evangelista, Padova, chiesa di S. Maria dei Servi; Trittico di S. Maria dei Servi, Padova, Musei civici; Compianto su Cristo morto, Padova, Museo diocesano; Annunciazione, già Monteortone, Venezia, Gallerie dell’Accademia; Cristo in pietà sorretto da due angeli, già Padova, chiesa degli Eremitani, cappella Ovetari
GIOVAN BATTISTA PELLIZZARI
Nacque attorno al 1598 a Verona, da Antonio, come si legge nel documento del 1642 reso noto da Guido Beltrame (1975, p. 20); sconosciuto è invece il nome della madre
Le prime opere note denunciano una sua decisa predilezione per le cifre narrative e stilistiche di uno dei principali artisti operanti a Padova in quegli anni, Pietro Damini (morto nel 1631), e un’attenzione alle componenti naturalistiche tipiche dell’altro rappresentante della pittura padovana (e non solo) del periodo, Alessandro Varotari, detto il Padovanino (scomparso nel 1649). Anche dopo la morte di Damini, Pellizzari si mantenne fedele a questo stile, quasi impermeabile ai rinnovamenti artistici dei decenni successivi, continuando a rappresentare la corrente tradizionalista di Damini, Padovanino e di Giovanni Battista Bissoni ben oltre la metà del secolo.
Le sue prime opere documentate risalgono al 1624, quando gli venne affidata l’esecuzione dei sette Ritratti di beati e santi teatini per la chiesa di S. Gaetano a Padova. In queste tele si trovano già tutte le caratteristiche stilistiche e compositive di Pellizzari: forte e insistito graficismo e rigidità formale, dipanarsi del racconto tutto in primo piano, attenzione ai dettagli naturalistici e alle ambientazioni architettoniche, predilezione per un cromatismo declinato su tonalità brune e tendenzialmente scure. Queste peculiarità accompagnarono Pellizzari per tutta la sua carriera, che non presentò nel corso dei decenni alcuna significativa evoluzione stilistica, facendo di lui un artista irrimediabilmente legato al tardo manierismo veneto e completamente immune alle spinte chiariste e barocche che iniziarono a farsi avanti a partire dal quinto decennio del Seicento. Questo stile, seppur ripetitivo e modesto, garantì a Pellizzari numerose commissioni per i più importanti complessi religiosi di Padova e Rovigo. In quest’ultima città l’artista lasciò forse il suo ciclo più importante, i 20 teleri con i Miracoli della Madonna del Soccorso, dipinti per la chiesa della Rotonda nel 1639, epoca in cui Pellizzari risiedette a Monselice.
La sua attività nella città di Padova fu invece praticamente ininterrotta fino alla sua scomparsa. La basilica antoniana, a partire dal 1634, gli commissionò numerosi dipinti: in quell’anno eseguì la pala con la Crocifissione per l’altare Riario nella sala del Capitolo, tuttora in loco, e successivamente gli venne commissionata la pala per l’altare di S. Rocco nella basilica del santo (Madonna con il Bambino in gloria e i ss. Rocco, Sebastiano, Liberale e donatore. Per la chiesa di S. Maria dei Servi dipinse nel 1641 la pala con le Ss. Apollonia, Maria Maddalena e Giuliana. Al 1647 è collocabile il ciclo di tele eseguito da Pellizzari, Giovanni Specchietti e Daniel van Dyck per la sacrestia di S. Francesco, raffiguranti Miracoli del Santo. Le ultime opere note del pittore sono quelle per la chiesa del Carmine, del 1659: tre grandi teleri inseriti nella serie con fatti storici e leggendari relativi all’ordine carmelitano, tra i quali spicca S. Bertoldo che ha la visione dei saccheggi dei turchi, dove il racconto si dipana entro una cornice architettonica neocinquecentesca. Morì il 20 febbraio 1660 a Padova, nella casa in parrocchia di S. Lorenzo
FRANCESCO DAL PONTE
(FRANCESCO BASSANO) 1549-1592 DAL PONTE, Francesco, il Giovane, detto Bassano. Per un decennio (1569-1578/79) lavora col padre, ma il primo dipinto in cui tale collaborazione è attestata e perciò l'arte del figlio ufficialmente riconosciuta, a pari dignità, da Iacopo, è la Predica di s. Paolo (Marostica, chiesa di S. Antonio), sottoscritta dai due nomi e datata 1574: si nota che in essa i due modi di dipingere si assimilano ma non tanto da confondersi, perché Francesco nelle parti da lui dipinte "materializza la levità indefinibile della pennellata paterna".
Tra i quadri di tema biblico-pastorale recanti le due firme si ricordano la Partenza di Abramo per Canaan (Berlino Ovest, Staatl. Museen; Bassano, coll. privata), il Cristo in casa di Marta e Maria (già a Greenville, Bob Jones University Art Gallery, ora a.Houston, Blaffer Foundation), il Ritorno del figliol prodigo(Roma, Galleria Doria Pamphili), dove le scene sono improntate dal padre ma descritte con il fare corsivo proprio del figlio.
Si pongono nel periodo di stretta collaborazione col padre: la Cacciata dei mercanti dal tempio, della coll. Borromeo all'Isola Bella, un Annunzio notturno ai pastori, del Castello Wawel a Cracovia, un Miracolo dei pani e dei pesci, un Autunno e un'Estate, tutte dell'Ermitage a Leningrado.
Tra le prime prove, sempre del periodo bassanese, che indicano il graduale allontanamento dall'arte paterna: l'Adorazione dei Magi del duomo di Padova e quella della Galleria Borghese oltre ad alcuni esemplari appartenenti a serie diverse, di Elementi (tratti da originali di Iacopo) tra i quali La Terra e Il Fuoco, firmato, della Gall. Liechtenstein di Vaduz.
Con la sua specializzazione Francesco Bassano si era conquistato uno spazio ben preciso anche al di fuori dell'ambito veneto: ce lo confermano altre due testimonianze di autori contemporanei, il Borghini (1584) secondo il quale sue opere sarebbero a Firenze, Roma e "quasi per tutte le parti del mondo"; e il Lomazzo (1584) che lo loda per le sue capacità nel raffigurare paesaggi. Una vera e propria industria artistica appare la sua bottega dalla descrizione del Ridolli (16483 pp. 397 s.): "Occupavasi ancora Francesco in far quadri aMercatanti, traendone utili di consideratione, quali venivano trasportati in varji luoghi, piacendo dovunque la di lui maniera; e molte copie sue passano ancora per originali, che si facevano da' giovani che teneva in casa...".
Dopo questi dipinti di largo respiro e di un cromatismo festoso, verso la fine degli anni Ottanta si manifestò nell'artista una crisi che si rifletté anche nella produzione allegorica: in un progressivo avvicinamento al gusto del fratello Leandro, il colore si schiarisce perdendo di forza, le forme si dilatano e si semplificano, la composizione si fa frammentaria. Sono di questo stile l'Assunta della chiesa romana di S. Luigi dei Francesi, la Vergine e i ss. Francesco e Domenico della chiesa trevigiana di S. Nicolò, la Presentazione al tempio della Galleria nazionale di Praga, l'Adorazione dei Magi e un Mercato dei Kunsthistorisches Museum di Vienna
Nell'ultimo periodo il D. ebbe commissioni di opere che solo in parte furono eseguite da lui, affetto da ipocondria non riusciva piu’ a dipingere seranamente.
Il 3 luglio 1592 a pochi mesi dalla scomparsa di Iacopo, Francesco morì in seguito al tentativo di suicidio compiuto nel novembre del 1591, concludendo così tragicamente la sua difficile vita di uomo e di artista che forse non aveva mai raggiunto una completa fiducia in se stesso, condizionato dalla grandezza del padre.
PIETRO DAMINI
Pietro Damini (Castelfranco Veneto, 1592 – Padova, 28 luglio 1631) è stato un pittore italiano. Esponente del tardo Rinascimento, fu allievo di Giovanni Battista Novelli. Dimostrò una precoce abilità, ma ha sperimentato vari stili, ora naturalista, ora idealista, ora imitatore del Tiziano.
San Ludovico di Tolosa consacra vescovo di Tolosa Sant'Alvise
Tra i suoi lavori, Cristo consegna le chiavi a San Pietro per la chiesa di San Clemente a Padova, la Crocifissione per la basilica di Sant'Antonio e Il ritrovamento del pozzo dei Martiri, pala che orna l'altare in fondo al Corridoio dei Martiri nella Basilica di Santa Giustina. A Telgate, nella parrocchiale è presente il Battesimo di Cristo. Nel duomo di Asolo vi è la pala di San Prosdocimo con san Nicola.
Nel duomo di Loreo, in Polesine, si trova una sua pala d'altare recante il Miracolo della Madonna del Rosario che salva una donna dal marito geloso.
Morì durante la peste del Seicento. I suoi fratelli Giorgio e Damina furono pure pittori.
Fonti:
Don Guido Beltrame, Masera’ di Padova con Bertipaglia e Ca’ Mura’ Editrice Maseratense 1999
Brochure pieghevole “Pieve di Santa Maria” a cura della parrocchia di Masera’, Testi di Ivano Cavallaro (2015),
Enciclopedia biografica Treccani,
Wikipedia
Ricerca bibliografica e testo di Chiaretto Ennio
Foto interno della Pieve di Giuseppe Tiozzo