Adriano Claudio Maritan

ADRIANO CLAUDIO MARITAN
RICORDO DI UNA VITA TESTIMONE DI UN’EPOCA 1939-2019

Premessa

Incontrai Claudio la prima volta a fine giugno dell’anno scorso quando, in piena difficoltà di reperimento delle fonti sulla vita di Leonino Da Zara e in genere sul nostro territorio, mi fu consigliato di prendere contatti con lui. Ebbene mi invitò a casa sua e mi fece vedere sia il suo manoscritto su Leonino ma anche il monumentale lavoro su Casalserugo (e non solo), unito alla storia della sua famiglia; fatto di ricerca, in anni di frequentazione assidua di archivi, biblioteche, musei. Ne rimasi ovviamente impressionato e gli chiesi se potevo utilizzare qualche informazione. Mi rispose semplicemente: " il mio lavoro è a disposizione di tutti ". Poi gli telefonavo, gli chiedevo consiglio dove trovare questo o quel documento. Sempre disponibile e gentile. Intanto però, man mano, scoprivo una persona appassionata, con una grande sete di conoscenza, di sapere. Per questo territorio rappresentava anche una memoria storica enorme, condita da una intelligenza "tagliente": le cose certo non te le mandava a dire nè ci girava intorno.
Finito il mio libro fu tra i primi a cui lo regalai per una opinione; lasciatemelo dire: una temuta opinione!. E infatti da esperto quale era (una vita di lavoro alla casa editrice CEDAM) mi tirò parecchio le orecchie per alcune mancanze / banalità, ma insieme mi fece anche dei complimenti talmente belli che non scorderò di certo.
Decidemmo così, con lui e con Giuseppe Tiozzo di Casalserugo e dintorni, nell'ottobre scorso, di chiedergli una intervista sulla sua vita, sulle sue opere, sulla comunità nella quale è cresciuto. Ne venne fuori un incontro in due puntate, una lunga chiacchierata che, in accordo con la famiglia, offriamo ai lettori di queste pagine. Come vedete anche nella foto qui sotto, nonostante la malattia, si mostrò come sempre disponibile, efficace, arguto. Un vero "spasso" discutere con lui, era sempre informatissimo e sorprendente. Ti saluto, caro Claudio, un vero piacere e un onore averti conosciuto. Penso che ora, finalmente, potrai fare a Leonino tutte le domande che vuoi!
11 Aprile 2019


Nota per il lettore

Questo non è libro di storia. E’ una raccolta di memorie, uno scorrere di episodi, fatti e personaggi così come il protagonista li ha conosciuti, o direttamente o attraverso altre persone. E’ questo il “profumo” delle vicende del passato cui accenna il prof. Alessandro Barbero nella sua celebre distinzione tra Storia e Memoria:

“Tra storia e memoria c’è una grossissima differenza. Le memoria è individuale, è quella delle persone, delle famiglie. La memoria conserva delle cose che la storia fa fatica a recuperare: le emozioni i sentimenti, le sensazioni. Cosa provava un padre, una madre quando il figlio partiva, decideva di unirsi a una banda partigiana o, al contrario, di unirsi ai fascisti? La memoria è questo. E ho fatto un esempio che riguarda la storia della resistenza perché si tratta di un argomento che è rimasto enormemente calcificato. Ancora oggi le famiglie italiane si dividono tra quelle che a quei tempi stavano coi partigiani e chi invece stava dall’altra parte, con le camicie nere. La storia invece consiste nel cercare di capire le ragioni sia degli uni che degli altri, consiste nel cercare di comprendere il perché sono successe quelle cose, chi era coinvolto da una parte e dall’altra. Chi aveva ragione e chi aveva torto interessano alla storia allo stesso modo. In sostanza la memoria è sempre di qualcuno ed è divisiva.
Solo la storia consente di arrivare ad un quadro di insieme e ricomporre le tante esperienze diverse, perdendo però, spesso, il “profumo”.

(Prof. Alessandro Barbero - Docente, storico, scrittore. Premio Strega 1996, premio Le Goff 2012, premio Alassio 2018, Cavaliere dell’ordine delle arti e delle lettere francese nel 2005. Intervista al sito Byoblu, 19 aprile 2019)


Casalserugo, 15 ottobre 2018
Malgrado il fatto di essere a metà ottobre fa ancora caldo ed è una bella giornata di sole. Claudio è malato, ma nonostante questo ci ha voluto ricevere lo stesso per questa intervista-colloquio. Ci apre la porta la moglie, e ci fa entrare in un ambiente davvero accogliente, con una bella biblioteca ricca e varia. Talmente spontanea la sua voglia di raccontare che inizia subito a parlare, ancora prima di sistemare microfono e registratore, scavalcando d’impeto ogni possibile domanda su come sta. Ci pare evidente che si sente bene!

Capitolo 1
PRIMI RICORDI

Partiamo dall’inizio e cerchiamo di andare con ordine. Dimmi di te, quando sei nato?
Sono nato il nove di novembre del 1939, a Ronchi, proprio dove si passa quando si entra in paese, prima di vicolo Po. Figlio unico. La casetta c’è ancora. E’ interessante come architettura, perché costruita dai bisnonni un po’ alta, sopraelevata, di due tre gradini, una cosa inconsueta per l’epoca e anche difficile da realizzare coi mezzi che c’erano. Aveva anche un piccolo ma signorile portichetto. Ricordo pure un pollaio con lavabo all’aperto e ovviamente la stalla col maiale.

Eh, certo che il maiale in una casa di campagna non poteva mancare. Cosa ti ricordi dell’infanzia?
I miei primi ricordi riguardano la scuola di Ronchi. L’edificio era posto dove adesso c’è la rotonda per Ronchi nuovi, di fronte a San Martino. Le maestre venivano da Padova in bicicletta, la mia si chiamava Zin di cognome, della famiglia dei costruttori e commercianti di pianoforti. Ero un bambino veramente privilegiato: mia nonna era la bidella della scuola e dunque godevo di attenzioni che altri non avevano. Oltre a fare la bidella, la nonna era anche addetta all’accensione e allo spegnimento della pubblica illuminazione, operazione che allora si faceva a mano.

Privilegiato? Ad esempio?
Te lo spiego subito. Quando ero malato, e non era cosa rara, essendo appunto nipote di bidella, le maestre mi portavano a casa i compiti e noi in cambio offrivamo loro il pranzo. Ricordo a questo proposito, sarà stato…fammi pensare, sì, il ’46, un episodio veramente increscioso: era una caldissima giornata estiva; una supplente vestita con una giacchina fatta all’uncinetto, forse troppo aperta per l’epoca, venne a fare visita a casa nostra. Evidentemente fu notata dai vicini perché, subito dopo, ci fu una protesta a scuola per la “mise” troppo discinta della ragazza. La poveretta, in men che non si dica, fu licenziata in tronco!

Però… non sarà una tragedia ma sicuramente un ricordo triste, che rimane impresso.
Aspetta, a proposito di tragedia, che ti racconto della mia prima comunione.  Mia zia era sarta, invece di farmi un vestito in tinta unita mi fece un vestito bianco e celeste, modello unico, anche troppo! Il fotografo si rifiutava di fare la foto di gruppo: questo bambino vestito in bianco col giubbino celeste in mezzo agli altri stonava paurosamente. Mi ricordo che si perse molto tempo finchè a qualcuno non venne l’idea, di ovviare agli inconvenienti fotografici mettendomi davanti alla tonaca nera del parroco. Sicchè, quando la foto fu fatta, è iniziò a circolare, tutta Casalserugo mormorò di questo bambino, nipote della bidella, che era addirittura più importante del prete! Sono cose che da piccoli si sentono molto, te le fanno pesare!
Un altro episodio che avrebbe potuto essere tragico è stato quando, all’età di sette anni, rincorrendo il pallone caduto in acqua, cascai nel fosso: ho ancora davanti a me, dopo così tanto tempo, l’immagine dell’acqua fangosa sopra la mia testa e sento ancora il senso di soffocamento. Non bastasse, il mio compagno di giochi era balbuziente e, complice l’agitazione del momento, non riusciva a spiegare l’accaduto ai possibili soccorritori. Per fortuna un passante, un certo Olindo, vide l’acqua agitarsi e, pur non scorgendomi, perchè stavo sotto l’acqua torbida, prese un rastrello e lo ficcò dentro al fosso. Mi aggrappai disperato e lui mi tirò su.


Proprio una gran paura ma anche una gran fortuna quella volta. Avete sempre abitato a Ronchi?
Per l’infanzia si. Avrò avuto invece nove anni quando ci trasferimmo da Ronchi a Casale, in una abitazione che era stata di proprietà dei Ruffatti. Era una casetta piccola: Cucina e pranzo sotto, camera unica in alto. E basta

La tua famiglia?
Come ti ho detto ero figlio unico. Mio padre era nato nel 1908 e all’epoca faceva lo stradino e il becchino. Anzi: il soprannome della mia famiglia (coeonèo – colonnello) deriva proprio dal mestiere di becchino che i miei antenati svolgevano da tempo immemorabile. Infatti all’epoca remota, quando si entrava in cimitero, si notava il custode/becchino, vestito con una specie di mantello decorato, e un arnese, tipo una mazza in mano. Ebbene: devi sapere che il custode aveva il diritto di impedire con le buone o con le cattive l’ingresso al cimitero di chi, a suo avviso, non era abbigliato in modo adeguato al luogo. Mi hanno sempre raccontato dunque che questo mio avo (il nonno o il bisnonno, e chi lo sa?) per come era vestito, la corporatura, l’irascibilità e l’autorità, insomma per tutti questi motivi la gente finì per chiamarlo appunto “coenèo”! Mio padre fu il primo a smettere il mestiere di becchino per fare il messo comunale.

Dunque tuo padre da becchino diventò messo comunale.
Si, un’altra specie di tragedia famigliare, almeno così fu vissuta da mia madre.

Ah, e perché?
L’assunzione di papà fu una specie di lotta paesana, perché in un piccolo borgo dove si era quasi tutti parenti, a concorrere per lo stesso posto erano in due: mio padre e mio zio (che era pure più istruito). Dunque mia madre ha visto in feroce concorrenza tra loro il marito e il fratello. Immaginatevi la povera donna, tirata in mezzo ad una questione che ben presto divenne motivo di aspra contesa allargata a tutto il paese, un trambusto notevole del quale si conserva traccia negli archivi del comune.

Cioè?
Anche il consiglio comunale, diviso a metà, fu teatro di accesi battibecchi e scontri tra i sostenitori dei due candidati. Ad un certo punto, il sindaco dell’epoca, Cantin, fece valere il suo peso in favore di mio padre. (*)

(*) Dunque la vicenda si conclude tra il 17 aprile e il 14 dicembre 1945, periodo nel quale Riccardo Cantin era sindaco di Casalserugo (vedi proprio Casale ‘900, un paese una famiglia di A.C. Maritan)

Dunque tutto si risolse per il meglio, no?
Per mio padre certo che si. Anzi a questo punto, una volta divenuto messo comunale, assurse anche al ruolo di “padreterno” del paese. La gente prese a rivolgersi a lui per qualunque controversia, questione, incombenza burocratica e non. E mio padre non lesinava certo tempo, consigli, aiuto a tutti. Persino il sindaco chiedeva a lui consiglio per dirimere certi dubbi, tanto che a un certo punto “Lorenzo Coenèo” iniziò anche a “preparare” gli argomenti in discussione nel consiglio comunale, corredandoli già con le sue richiestissime osservazioni!

Chissà che ritorno economico…
Ah, come no! La gente lo ricompensava con quello che aveva: con verze, fagioli e qualche volta anche musetti, cotechini. Niente soldi però, anzi lo stipendio di mio padre serviva a far girare l’economia delle uniche botteghe del paesetto: il casolino e Salatina, l’osteria che sta ancora dov’era all’epoca. Anzi, sai che ti dico? Che, dopotutto, la Casalserugo di allora non è poi così diversa da come è oggi: è cambiato veramente poco.  Dunque, per concludere, da noi si viveva con la casa dalle porte sempre aperte,  si campava in modo dignitoso ma non si poteva certo spendere e spandere.

Il piccolo Claudio davanti al parroco con il gilet azzurro


Capitolo 2
LA GUERRA

Veniamo alla seconda guerra. Tu allora eri veramente piccolo. Cosa ricordi?
Il primo ricordo della guerra è questo, un piccolo episodio ma mi è rimasto impresso. Avrò avuto tre o quattro anni. C’era allora una ordinanza del sindaco che imponeva il coprifuoco a una certa ora, cioè bisognava spegnere le luci nelle case e in tutto il paese, per via dei possibili bombardamenti degli alleati, i famosi arei “Pippo”. Solo che mia nonna aveva un lumicino davanti all’effige del sacro cuore, proprio sopra l’uscio di casa e non l’avrebbe spento nemmeno da morta, per nessun motivo. Si procurò allora una specie di cappuccio in bachelite che metteva sopra la fiammella, in modo che la stessa non si spegnesse ma nello stesso tempo non facesse trapelare la luce. Poi ricordo anche una specie di rifugio antiaereo, una buca sotto terra scavata a forma di sette, proprio davanti a casa, a Ronchi.

E i tedeschi?
I soldati tedeschi occupavano le stanze dell’abitazione del pizzicagnolo proprio a cento metri da casa nostra. Invitavano spesso mio zio (noto fascista locale) a delle grosse bevute dalle quali tornava completamente sbronzo. E sono certo che questi “festini” non si limitavano all’alcool, bensì anche al contorno di donnine allegre, ed il tutto si svolgeva ai piani superiori del caseggiato del pizzicagnolo. I militari cercavano spesso lo zio ma quando giravano in paese in cerca di lui la gente normale si chiudeva in casa.  Pensate che mio zio era affiatato con loro talmente tanto da chiamare i tre figli con nomi tipicamente teutonici. Quindi i ricordi sono: paura per le bombe, paura dei tedeschi che bussano alla porta, paura dello zio che torna ubriaco.

Durante il fascio, chi comandava?
A Casalserugo, all’epoca si davano il cambio un paio di note famiglie del territorio le quali scambiavano il posto tra segretari del fascio e podestà. (*). Comunque devo dire che anche mio padre contava parecchio, pur non avendo mai voluto incarichi di regime.

(*) I nomi Claudio li ha fatti per esteso ma siccome si tratta di famiglie ancora esistenti con gli eredi ancora presenti a Casalserugo, si è ritenuto di non indicarli qui. Ndr.

Poi, cosa ti ricordi?
Ora ti dico. Un giorno, davanti casa si presentarono dei tedeschi in ritirata (quindi siamo nel 1945): un gruppetto in assetto militare. Eravamo bambini allora, e come a tutti i bambini ci piaceva scherzare. Facevamo una specie di burletta, mettevamo un oggetto in strada che attirasse l’attenzione, legato ad uno spaghetto, fino fino, quasi invisibile e noi acquattati dentro l’argine, nascosti. Appena una persona, un passante, faceva per raccogliere l’oggetto, tiravamo lo spaghetto facendolo sparire. Il viandante rimaneva attonito e tra noi si generava invece un grandissimo divertimento. Una cosa innocente, da bambini appunto. Purtroppo non facevamo differenza tra tedeschi e gente comune e quando si avvicinò il militare germanico per raccogliere sta cosa, che non ricordo nemmeno cos’era, qualcuno di noi tirò lo spago.  Sentitosi preso in giro il militare iniziò a sbraitare ad alta voce;  si parò davanti a noi armato, minacciandoci, parlò di arresto, di carcere, insomma uno spavento che per diverso tempo ci fece rimanere letteralmente muti! Ancora oggi se sento un tedesco che alza la voce istintivamente prendo paura e mi proteggo.

Erano giorni veramente orribili, pensa che a Maserà dei tedeschi in fuga uccisero due contadini davanti alla loro famiglia per portare via una mucca... Quindi..
Aspetta! Anche a Casalserugo successe un fatto simile. Risale infatti a quel periodo anche la vicenda dei Codogno, uccisi anche loro dai tedeschi in fuga. Una cosa che si sarebbe potuta benissimo evitare! Bisogna sapere che persino il parroco più volte, in chiesa, aveva avvertito di non interferire in alcun modo con la ritirata dei tedeschi, di non dare assolutamente corda ai partigiani che invece invocavano l’uso delle armi. Purtroppo qualcuno non seguì questo (per me ottimo) consiglio, e sparò all’indirizzo dei militari tedeschi, forse uccidendone uno, non ricordo bene. Non si saprà mai chi fu questa persona che fece fuoco ma ciò fu sufficiente a scatenare la rappresaglia. Da quello che so, i tedeschi entrarono nella prima casa che trovarono, là vicino, portando fuori padre e figlio che non c’entravano nulla e li uccisero. Dal mio punto di vista si trattò purtroppo della tragica, barbara ma logica reazione. Lo ripeto, molte volte la popolazione era stata avvertita di non ostacolare in alcun modo la fuga dei tedeschi e invece per il gesto, che io reputo sconsiderato, di uno sconosciuto, ci andarono di mezzo due innocenti.(*)

(*) Il 27 aprile 1945 a Casalserugo (Padova), i partigiani attaccano una colonna tedesca in ritirata. I nazisti, riusciti grazie all’arrivo di rinforzi a mettere in fuga i ribelli, rastrellano una casa dove vivono le famiglia Codogno e Piva. Attilio Codogno e suo figlio Erminio escono con le mani alzate ma vengono trucidati da una scarica di mitra. Gli altri riescono a mettersi in salvo mentre i tedeschi incendiano l’abitazione. Le fonti che riportano questo episodio sono poche, perciò non è possibile avere maggiori informazioni sulle vittime, né essere certi della dinamica dei fatti. (Fonte: atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia. A cura di Adriano Mansi). Cfr:  Elena Carano, Oltre la soglia. Uccisioni di civili nel Veneto 1943-1945, CLEUP, Padova, 2007, p. 369; Pierantonio Gios, Guerra e Resistenza: le relazioni dei parroci della Provincia di Padova, Pliniana, Selci-Lama (PG), 2007, pp. 388-389.

E tuo padre che faceva?
Come ho già detto prima per tutta la durata del periodo in camicia nera mio padre non volle mai cariche fasciste. Eppure i suoi testimoni di nozze (1938) furono il segretario del fascio e il podestà.  Dunque era fascista come lo erano quasi tutti. Mi ha sempre detto che la storia di ciò che fu il fascismo è più complessa di quello che si raccontava dopo la guerra, e che bisognava studiarla a fondo. Un’altra cosa della quale già ti ho accennato, riguarda il fatto che, durante il regime mio padre fu incaricato di fare da scorta armata a Leonino (Da Zara, ndr), che era un’autentica celebrità nostrana, quando arrivava in paese. In prossimità della fine del conflitto tuttavia fu lui, Lorenzo Coeonèo, ad organizzare il primo nucleo del CLN a Casalserugo, assieme a Cantin, che fu scelto come primo sindaco della Casalserugo post-fascista.

Quindi arriva il 25 Aprile…
I giorni della liberazione furono molto duri per la nostra famiglia. Come ricordo principale ho quello delle piccole vendette, ovvero avvenimenti dei quali ci raccontava papà in casa. Come, ad esempio, quando alcune donne del paese furono raggruppate e rasate a zero in quanto accusate di collaborazionismo coi tedeschi. Ci andò di mezzo mia zia che frequentava spesso i tedeschi e ciò era ovvio: essendo sarta rammendava le divise e i vestiti dei soldati, però non era sposata e così fu facile accusarla di intendersela col nemico.
Anche mio padre, nonostante fosse stato promotore del CLN locale fu preso di mira. La motivazione potrebbe essere stata (non si è mai saputo con certezza), per i suoi trascorsi ritenuti da qualcuno troppo accondiscendenti verso i fascisti. Dunque, appena dopo la liberazione, fu vittima di una selvaggia aggressione notturna con un violento pestaggio. L’immagine di quest’uomo, il papà, che rientra a casa in quelle condizioni, con mia mamma che si precipita a soccorrerlo, è un qualcosa che un bambino non può scordare, che io non sono mai riuscito a dimenticare.


Casalserugo, 5 novembre 2018
Siamo pronti per la seconda parte dell’intervista. Quest’oggi non fa più tanto caldo come la volta precedente; quella che invece è rimasta immutata è la voglia di raccontare di Claudio, che parte nuovamente in quarta.

Capitolo 3
IL DOPOGUERRA

Finito il conflitto cosa accadde?
Appena dopo la guerra il papà, come ho detto prima, grazie al sindaco Cantin, fu nominato al posto di messo comunale: apprezzatissimo e amatissimo dalla gente di Casalserugo. Era talmente benvoluto dalla popolazione che io potei permettermi di studiare a Padova solo grazie all’aiuto che i compaesani diedero alla mia famiglia.

E dove sei andato a studiare?
Devi sapere che all’inizio io ero veramente uno zuccone a scuola, non mi piaceva affatto. L’esame di ammissione alle medie al Barbarigo (1950) nonostante fossi aiutato da qualche maestro del posto non riuscii proprio a passarlo, ma…

Ma?
Ma tutti gli abitanti di Casalserugo, gli amici di papà e lui stesso non intendevano ragioni: il figlio di “Lorenzo Coeonèo” doveva diventare ragioniere e quindi doveva andare alle medie. Ripetuto l’anno e ripetuto l’esame di ammissione vengo finalmente accettato.

Mi sembra che il Barbarigo fosse una scuola costosa, o sbaglio?
Costosa? Pensa che la retta della scuola era circa di trenta mila lire, grosso modo  un intero stipendio. Si viveva praticamente con quello che ci portava da mangiare la gente! Dunque mi trovo alle medie in classe con tutti i notabili padovani, con i cognomi di tutti i negozi del centro di Padova.  Ricordo che quando la professoressa entrava in classe la prima cosa che faceva era di chiedere ai miei compagni “come sta tuo papà, salutami tua mamma” e via così. Ricordo anche che un mio compagno di classe figlio di un banchiere ebreo, arrivava in auto con l’autista tutte le mattine, riverito come un principe! Io che ero quello della campagna e non ero nemmeno considerato una gran cima, mi sentivo un po’..come dire? In disparte, parecchio emarginato.

Dunque non era esattamente una condizione felice…
No. Mio padre credeva di rimediare mandandomi a scuola con un sacchetto di uova fresche che io dovevo dare agli insegnanti. Lo dissi anche a lui: questa non è gente da uova fresche! Ma insisteva… Che vergogna che provavo!. Poi, stanco delle mie lamentele, andò lui stesso dal direttore per parlare di questa situazione un tantino pesante per me. La soluzione trovata fu semplice: abbandonai quella scuola. Mi trasferii al Mameli. Lì, con l’aiuto di una brava insegnante che corresse il mio modo di studiare, diventai assai più bravo e feci le tre media di corsa.

Quindi poi tutto si sistemò in qualche modo e quel periodo poi trascorse sereno?
Ricordo che quando frequentavo le scuole medie seguivo anche mio padre al lavoro e mi sedevo al tavolo dell’allora segretario comunale per fare i compiti. Nel frattempo questo signore, il segretario comunale, una persona in gamba del quale non ricordo il nome, era letteralmente assalito di domande che gli porgeva mio padre.

Come mai?
Eh, vedi… In questo modo riusciva ad avere da un vero esperto quelle risposte che nessun altro in paese avrebbe potuto dargli. Questioni legali, soprattutto. Già, perché papà, a sua volta, era subissato di richieste dai cittadini, problemi da risolvere di tutti i tipi: dalle liti di vicinato, alla divisione di eredità e così via. Imparò velocemente certe “regolette” di legge che utilizzò poi per decine di anni. Metteva me (che avevo dieci, undici anni) alla macchina da scrivere e mi dettava queste formule da mezzo avvocato: ad esempio, ecco, “Addì 25, del mese di giugno, sono comparsi davanti a me” oppure … “si conviene quanto segue”, ecc. ecc.
Dai dieci anni in poi tutti mi sfruttavano, se così posso dire. Quando tornavo a casa da scuola mi mettevano a scrivere a macchina fare commissioni per il comune, ecc. Per mio padre quindi fu naturale pensarmi con una carriera da segretario comunale, iniziando col mandarmi a studiare da ragioniere. Che delusione per lui quando gli dissi che mai e poi mai avrei fatto il segretario comunale! Mio padre non digerì mai quella cosa.

Ci sarà anche qualche aneddoto simpatico
Certo che si. Un ricordo gustoso è quello che per andare a studiare a Padova spesso e volentieri noi “campagnoli” dovevamo spingere la corriera. Specie quando pioveva e le strade erano di terra smossa, ancora coi ricordi dei bombardamenti. Perciò il pesante mezzo non ce la faceva, si piantava e noi dovevamo scendere a spingere.  Per il ritorno invece mio padre assieme ai papà degli altri fortunati studenti “padovani” organizzava una specie di staffetta motorizzata cioè qualcuno a turno ci veniva a prendere a san Giacomo in auto. Che ricordo favoloso quando a prenderci veniva il panettiere col furgoncino, con le sue fresche e profumate pagnotte: quando ci penso sento ancora il gusto del pane di una volta appena sfornato: ecco un sapore che non ho mai più ritrovato.

E finite le medie?
Andai poi a studiare al Calvi dove diventai, senza difficoltà, ragioniere, per la gioia di tutti coloro che mi vedevano già futuro segretario comunale, al servizio dei cittadini 24 ore al giorno, come mio padre. Ma io pensavo: non sarà mai! In realtà, come ti ho detto, non avevo nessuna intenzione di intraprendere la carriera programmata da altri per me, per la grande delusione dei miei, specie, appunto mio padre.  Se da una parte non mancherà mai di rinfacciarmelo, per contro, dall’altra, negli anni successivi, non mancai di fargli notare i miei stipendi tutt’altro che irrisori e gli avanzamenti di carriera.


Capitolo 4
IL SERVIZIO MILITARE

Al Servizio militare

E hai fatto ragioneria di corsa, senza problemi.
Esatto. Comunque, non avevo ancora finito (ero al quarto anno) che mi arrivò la cartolina militare e dovetti perciò rimandare la partenza per le armi di un anno. Nel frattempo uno degli amici di papà, il farmacista, mi suggerì, visto il diploma, di intraprendere la carriera di ufficiale, il che avrebbe unito il dovere a un primo introito pagato, uno stipendio insomma. Grazie alle conoscenze di qualche paesano riuscii a prepararmi a dovere per il test di ingresso. Al di là delle crocette che inserii nelle domandine sulla carta, penso di avere convinto l’ufficiale che selezionava i richiedenti con le risposte che gli diedi sulla mia vita e su ciò che avevo fatto fino a quel momento: “ frequento l’Azione cattolica, lavoro in municipio, aiuto mio padre, batto a macchina, scrivo le delibere”… E tante altre cose. Si convinse perciò, non so come, che io avessi delle “attitudini al comando”, cosa che mai avrei pensato di me stesso. Alla fine del colloquio questo maresciallo mi chiese: dove vuoi che ti mandiamo? Io non ebbi esitazione: il più lontano possibile da Casalserugo e dalla stretta soffocante dei miei genitori e dei miei compaesani.

Davvero? Attitudine al comando?
Altrochè. Fui perciò nominato ufficiale di complemento, sotto tenente e il tutto in pochi mesi.  Era il 1963. E lì ho scoperto un altro Maritan. A Roma, ricordo, durante le esercitazioni di tiro, era il momento in cui gli ufficiali veri testavano le capacità di comando di noi “nuovi”. Bisognava dare gli ordini al plotone che sparava. “Avanti marsh” “Alt” “In riga” e via così. Quelli chiamati prima di me furono un disastro, la truppa andava a piacere di qua e di là. Quando toccò a me, sebbene non fossi convinto dei miei mezzi,  mi accorsi che i miei ordini venivano eseguiti a puntino; che grande sorpresa!

E ti spedirono lontano come avevi chiesto?
Fui spedito quindi a Lecce, il posto più lontano che avevano a disposizione per me

Ah, bene!
Aspetta! Non feci in tempo ad arrivare in Salento alla caserma che l’altoparlante fece il mio nome: ero desiderato per un colloquio. A farla breve i miei avevano trovato una persona di Casalserugo, un riparatore di organi, che lavorava in quel periodo proprio a Lecce. I miei mi avevano trovato anche là! A parte questo, devo dire che la caserma ubicata, mi pare, in una specie di ex collegio dei preti, (magari c’è ancora), era un posto veramente ristretto. Si dormiva vicini l’uno all’altro, un tantino disagevole, ma, in compenso, ho passato un servizio militare veramente stupendo; i miei compagni erano quasi tutti romani, ed in generale provenienti da famiglie benestanti e istruite. Ricordo: il figlio delle guardie vaticane, il figlio del sindaco di Firenze, il figlio di un comandante dei corazzieri al quirinale, e via così, per avere un’idea, insomma.

Quindi com’è stato? Cosa hai fatto?
Durante il servizio fui spedito diverse volte proprio in veneto, dalle parti di Bibione e Caorle, ma anche in Friuli dalle parti di San Daniele, ad imparare le nuove tecniche di difesa, anche anti-atomica, con tanto di carri armati attrezzati allo scopo.

Poi sei tornato al paesello, tutti ti aspettavano!
Finita l’esperienza per me positiva del militare me ne tornai a Casalserugo. Chiesi a mio padre se potevo iscrivermi all’università, ad architettura (la mia grande passione, che non mi ha mai abbandonato) ma lui mi rispose seccamente: “è ora che ti trovi un lavoro”. Ricordo benissimo che per prima cosa andai in fabbrica, alla Zedapa, per lavorare in ufficio come ragioniere, ma non ne ebbi una buona impressione. Tuttavia le insistenze del titolare mi convinsero a lasciare giù il libretto di lavoro per essere assunto.
La stesso giorno, poco dopo, incontrai casualmente una persona che mi disse: “guarda che c’è una casa editrice che cerca un ragioniere”. Andai a colloquio in questo posto, a Padova, e ne fui conquistato. C’era però un problema, ero appena stato assunto da un’altra parte. “Non si preoccupi, mi disse il titolare, ci penso io”. E così fu. Nel 1964 iniziai a lavorare alla casa editrice padovana CEDAM.


Capitolo 5
DOPO LA PENSIONE

So che sei diventato una colonna della CEDAM ma poi?
Sono andato in pensione nel 2003, dopo praticamente quarant’anni di servizio, con la richiesta di dimissioni spontanee, a seguito del cambio di proprietà della casa editrice. Utilizzando degli artifici tecnici (una serie di incongruenze di bilancio per le quali sono stato chiamato a rispondere), la nuova proprietà voleva limitare il mio potere di controllare ogni cosa, dagli stipendi ai bilanci, dai rimborsi alle fatture. Io avevo imposto infatti, a suo tempo, che i conti transitassero tutti sul mio tavolo senza eccezione. Evidentemente questo non era più tollerabile e perciò mi misero praticamente alla porta. Devo dire, però, con la mia completa soddisfazione economica, che non è poco.

Senti una cosa: hai parlato sempre di tuo padre e quasi mai di tua madre. Perché?
E’ vero. Ho parlato pochissimo di mia madre, ma il motivo è semplice: quando chiedevo qualcosa del passato della famiglia a lei, non mi rispondeva; se insistevo addirittura si chiudeva in camera. Penso che questa sua ritrosia molto forte fosse data, per una parte, dalla famosa lotta tra il marito e il fratello per il posto al comune che la vide dolorosamente protagonista involontaria. D’altra parte mia madre, molto di chiesa, aveva avuto a sua volta una madre che si era sposata ben tre volte; una delle quali addirittura col capo delle leghe rosse di Bovolenta.

Addirittura…
Pensa che questa cosa è stata vissuta come una vergogna talmente grande da non volerne mai parlare. Considera anche che il parroco all’epoca fece votare in chiesa, dai capi famiglia, una specie di condanna nei confronti della coppia e di questa unione “innaturale”. Devo dirti una cosa: questo “rosso” una volta sposato con mia nonna, che era parecchio benestante, e importato a Casalserugo, diventò uno dei fascisti più convinti dell’intero paese!.

Veniamo alle tue ricerche
Tutte queste storie sulla mia famiglia erano molto conosciute in paese, l’unico che non le sapeva ero io. Quando in gioventù incontravo la gente per strada e mi parlava alludendo a questo o a quell’episodio, io cadevo sistematicamente dalle nuvole. La mia passione, la volontà di scoprire tutto, prima sulla mia famiglia e poi sulla mia comunità di origine, ha potuto essere soddisfatta solo dopo la pensione. Ed è da quel momento in poi che ho cominciato ad andare in giro a fare ricerche. Il risultato, di cui vado molto fiero, è avere scoperto storie mie personali, assieme a quello di avere fatto un libro su tutta casale. Senza dimenticare “l’incidente di percorso”, ovvero quello di essermi imbattuto nella vita di un certo Leonino Da Zara.


Capitolo 6
LEONINO

Leonino Da Zara entra nella sua agenzia di Casalserugo scortato da Lorenzo, il padre di Claudio

Ecco infatti, parlami di questa vera passione per il barone Leonino Da Zara
Ti spiego: durante la ricerca su Casalserugo trovavo pacchi di roba su questo personaggio e la sua vicenda, man mano, diventava sempre più interessante.  D’altronde sapevo che si trattava di una persona importante e quasi “di famiglia” visto che mio padre gli faceva da scorta.

Lo hai conosciuto direttamente?
Si, si. Feci in tempo a conoscerlo personalmente. Io andavo ad aiutare il figlio del fattore di questo barone Leonino per i compiti a casa e dunque frequentavo l’agenzia Da Zara. Col permesso del barone assieme al figlio del fattore, andavamo nella soffitta dove c’erano montagne di carte, oggetti, documenti.  Per quello che ci capivo io, che frequentavo le scuole medie, si doveva trattare di materiale importantissimo; fai conto che era come una piramide di roba alta, nel punto più elevato forse anche un paio di metri. Comunque ho avuto modo di rivolgere la parola al barone Leonino più volte, in diverse occasioni. Era un signore per niente affabile, parecchio tronfio, e quando era a casa sua di certo non badava all’etichetta.

Ah si? Interessante e divertente la cosa…
A Casalserugo preferiva alloggiare non in villa, bensì in agenzia perché adorava guardare i suoi dipendenti che lavoravano. Si faceva portare, davanti al finestrone che dava verso il cortile, il  grande sofà che aveva in salone (dove riceveva di solito le visite, principalmente amiche) ma rimaneva in accappatoio da bagno o vestaglia tutto il giorno e sotto, ovviamente era nudo! Più di una volta e più di qualcuno si sentì assai offeso per essere stato ricevuto da questo signore anzianotto che non si preoccupava di nascondere accuratamente quello che si celava sotto lo scarso vestiario. Un vero affronto!

Un po’ stravagante il personaggio non credi?
Posso definirlo anche eccentrico, se vogliamo. Eccentrico, per certi aspetti, è anzi riduttivo, direi. Basta vedere la sua vicenda in generale: si infatuava di qualcosa, si buttava anima e corpo (e soldi) su un progetto ma poi, finito l’innamoramento, basta. Guardate gli aerei: una passione durata cosa? Due anni. Le macchine da corsa forse un anno di più. Per lui queste cose erano null’altro che modalità con le quali entrare nel bel mondo romano, altrimenti proibito, poiché, in fondo, era solo un riccone di una sperduta provincia. La bella vita mondana e romana: quella gli piaceva molto! D’altronde anche suo padre la pensava così, più volte lo accusò di cercare la gloria con lo sport solo per entrare nei salotti che contavano.

Dunque com’era infine questo Leonino visto da vicino?
Leonino entrava e usciva dall’agenzia salutando appena. Convocava Il fattore piuttosto raramente e solitamente per rimproverarlo: “te si un Mona” si sentiva spesso. Arrivava, certe volte, accompagnato da signore vestite di gran lusso, con sigarette a bocchino, lungo da qua fin là, chiudendosi in casa. Diventava un altro solo quando vedeva gli amici di infanzia, vecchie conoscenze del paese. Allora cambiava faccia, diventava alla mano, di compagnia, generoso, in vena di festa.

Poi la storia finisce…
La vicenda di Leonino a Casalserugo finisce con l’alienazione di tutti i suoi beni, d’altronde da trent’anni non pagava le tasse!  Il comune perciò alla sua morte si prese quasi tutto, case, mobili, ecc, vendendo poi al sig. Tasca (un privato) l’agenzia, con la famosa soffitta piena di documenti e tante testimonianze della vita di Leonino. L’agenzia rimase chiusa per molti anni ed entrare non era possibile. Dissi a mio padre (sempre informato su tutto) che qualora avesse notato movimenti strani davanti all’edificio di avvertirmi tempestivamente. Purtroppo (siamo nei primi anni ottanta) senza che potessi fare nulla, un giorno arrivò un camion che caricò tutto nel cassone, portando il contenuto alla discarica di Roncaiette dove venne immediatamente ricoperto di terra, secondo le disposizioni di allora. Quando venni avvisato e potei intervenire purtroppo il misfatto si era già compiuto.

Parlando del tuo lavoro di ricerca, cosa puoi dire in conclusione?
Posso garantire che tutto ciò che c’è scritto nelle mie ricerche è provvisto di riscontri e tutto quello che ho fatto è a disposizione di tutti; soprattutto di chi non è stato fortunato come me e non ha potuto studiare.


Maggio, 2019
Ricordo che alla fine ci salutammo calorosamente, con una promessa: una bella intervista con tanto di telecamera, da farsi in primavera inoltrata, all’ombra di un frondoso albero e con un bel verde sullo sfondo.  In quella occasione Claudio mi avrebbe anche mostrato le numerose foto, parte di un grande archivio della sua famiglia e di una intera comunità. Non è stato possibile, purtroppo. Ma sono contento, però, di aver potuto “carpirgli” in tempo questo frammento di memoria, per chi la vuole, a disposizione di tutti, come avrebbe voluto anche lui. Grazie, Claudio.
E.C.

 


UN RICORDO DI ADRIANO
di Giuseppe Tiozzo

Da alcuni anni gestisco per passione un sito internet; un piccolo centro di documentazione e divulgazione di storia locale tra Casalserugo e gli immediati dintorni, che senza l'apporto del materiale fotografico e scritto, messo generosamente a mia disposizione da Adriano, non mi avrebbe consentito di rendere partecipe la comunità di una parte importante della nostra storia. Dunque, senza voler aggiungere nulla più a quanto scritto in queste pagine, sento tuttavia anch’io il bisogno di esprimere in qualche modo il fatto di essere stato davvero molto fortunato ad aver incontrato una persona così disponibile e appassionata; mi auguro che il lavoro di Adriano e le sue ricerche, raccolte principalmente nella pubblicazione "Casale 900", diventino patrimonio comune e rimangano a memoria delle future generazioni dei miei attuali compaesani.


Casalserugo, 13 Aprile 2019

OMELIA DEL PARROCO DI CASALSERUGO IN OCCASIONE DEL FUNERALE DI ADRIANO CLAUDIO MARITAN

(letture: Atti 1, 1-11; Luca 1,1-4)

Abbiamo ascoltato l’inizio di due libri della Bibbia, gli Atti degli Apostoli e il Vangelo secondo Luca, scritti entrambi dallo stesso autore.

Ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi e di scrivere un resoconto ordinato” (Lc 1,3).

Sono parole che avrebbe potuto scrivere il nostro caro Claudio, così appassionato di ricerche storiche, parole che trovano riscontro, ad esempio, negli archivi parrocchiali di Ronchi e Casalserugo, che Claudio ha ordinato con grande accuratezza, con generosa disponibilità, per cui noi parroci gli siamo veramente grati.
Claudio ha scritto la sua storia personale di uomo, di sposo, di padre, di amico, di lavoratore, di studioso, attraverso la sua innata curiosità, il suo farsi sempre un sacco di domande, il suo essere persona molto stimolante, capace di rilanciare sempre, di mettere in discussione con la sua critica intelligente… un corretto dissidente l’ha definito un suo amico! Ha scritto la sua storia con il suo essere un incallito sognatore.
Trai suoi sogni, il libro su Casalserugo.
Nel libro della sua vita, i capitoli più importanti siete voi, Annita, Michele e Virginia.

Tutto quello che è scritto nei nostri cuori, i 46 anni di matrimonio, quanto avete vissuto con Claudio anche in questo ultimo periodo lo presentiamo assieme a voi al Signore per rendere grazie.
Siamo venuti in chiesa per questo. Un grazie che diventa eredità preziosa per voi, per gli amici, sprone ad essere curiosi, in ricerca, mai superficiali, innamorati della storia, delle radici, del territorio, capaci di leggere in profondità di avvenimenti.
Grazie per il bene che vi siete scambiati e di cui l’avete circondato.
Siamo venuti in chiesa, poi e soprattutto, perché crediamo che la morte non mette la parola fine alla storia di Claudio e di ogni persona.
Ecco la “solidità degli insegnamenti che abbiamo ricevuto” (Lc 1,4) , di cui parla Luca all’inizio del suo Vangelo: Gesù è salito al cielo, è primizia, il primo dei risorti e ci ha preceduto.
La meta della nostra vita, del nostro cercare è la vita eterna, le cose di lassù che danno il senso pieno alla vita di quaggiù, misteriosamente anche alle sofferenze e alle tribolazioni.
Tra i libri che Claudio teneva accanto a sé, c’erano le Fonti francescane (scritti e biografie di San Francesco): Claudio aveva messo un segnalibro sulla pagina della perfetta letizia.
Forse gli hanno offerto la chiave per leggere e scrivere anche il faticoso percorso della malattia: “Se sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore, o frate Leone, iscrivi che qui è perfetta letizia”.
Per noi credenti Itaca - immagine a cui Claudio era affezionato, perché esprimeva il suo desiderio di raggiungere una meta e la consapevolezza che anche quando non si arriva alla meta che il percorso fatto è comunque prezioso - la nostra Itaca, la Patria a cui tornare è il Cielo, il Paradiso.
La nostra storia, la storia della nostre parrocchie, del nostro territorio, la storia dell’umanità troverà il suo pieno compimento in Dio.
Lo Spirito Santo che Gesù promette e dona ai suoi discepoli, ci accompagni nel percorrere la nostra storia, anche quando sembra un’odissea, per giungere alla meta del Paradiso.


Don Federico Fortin


Si ringrazia per la disponibilità e per avere messo a disposizione foto e materiale:
- La famiglia di Claudio Maritan
- Don Federico Fortin

© 2019 Ennio Chiaretto
In collaborazione con Giuseppe Tiozzo, Casalserugo e dintorni