A tal proposito così scrive, tra l'altro, Ivano Cavallaro: «Quali fossero però le condizioni igieniche del villano in queste primitive capanne è facile immaginare. La sporcizia aveva praticamente reso universale il pidocchio: tanto che la ripugnante reciproca disinfestazione universale era diventata una manifestazione di affettuosità familiare, e perfino di corteggiamento.
In questa cornice primitivismo delle abitazioni continua Ivano Cavallaro credo si possa trovare almeno una parziale spiegazione di quella rude franchezza di linguaggio con cui il Ruzante esprime le funzioni fisiologiche umane e animali, che non ha niente a che fare col turpiloquio civile antico e moderno ...». Erano queste le dimore dei "brazenti", la categoria anche allora più bassa nella scala sociale agricola, che non possedevano altro che la loro "ovra" giornaliera, mentre il Ruzante è più spesso vicino ai villani di "massaria".
Del resto anch'essi, come si ricava dagli studi del prof. Paolo Sambin, erano torchiati disumanamente dai proprietari ed i grandi proprietari ne approfittavano, specie in occasione di gravi epidemie, perché questi erano costretti a cedere i «iura utilia», e il prof. Paolo Sambin, commentando il triste fenomeno, afferma che i piccoli livellari, proprietari e artigiani, quelli che nel secolo XII erano stati gli araldi o gli artefici della libertà del comune rurale, sono ora in questo modo ingoiati dalla potente proprietà di un ricco patrizio veneziano ...».
Al momento del raccolto - scrive ancora Ivano Cavallaro - «ecco giungere fattori, missi, "nuncii", che dalla città o dalle sparse gastaldie si recavano nelle aie dei villani a spartire il grano o il vino tra padroni e fittavoli, seguiti a breve distanza, o forse accompagnati dai collettori delle decime ecclesiastiche e del quartese, che subito aprivano vuoti considerevoli nel mucchio dei "lavoradori". Dopo un anno di lavoro i poveri villani vedevano sparire in breve la parte migliore dei frutti del loro sudore; peggio, dovevano essi stessi coi loro carri o "barelle" trasportare quella grazia di Dio fino agli approdi nei canali o ad dirittura fino alla città, nei granai e cantine padronali, laici ed ecclesiastici.
A ridosso della guerra portata, anche nel territorio dell'attuale Comune di Casalserugo, dai collegati della Lega di Cambrai e in modo particolare negli ultimi giorni del mese di settembre del 1513, la situazione si era fatta ben più grave, come racconta lo storico Ludovico Antonio Muratori: «Nel dì 17 settembre s'avviò l'e sercito collegato verso il Padovano, con bando che fosse lecito ad ognuno il mettere a ferro e a fuoco tutti i paesi da Monselice alle acque salse.
Fu eseguito il barbarico editto e in un tempo che i poveri popoli, non sospettando la seconda visita di questi cani, erano tornati con le famiglie e i bestiami alle lor case. Non contenti costoro, cristiani nel nome e turchi nei fatti, di fare grandissimo bottino, imprigionavano, uccidevano e bruciavano le case e ville dovunque ar rivasse il loro furore».
Fonte: Dario Soranzo - Emilio Pastore 1972